di Pierluigi Piccini
Solo fra qualche giorno sapremo come si concluderanno i congressi del Pd. Con molta probabilità ci sarà una prima fase di passaggio, poi vedremo. Ma ci sono dei fatti che meritano di essere ricordati, e che segnano il discrimine tra un prima e un dopo, nonostante la consolidata assuefazione ai comportamenti politici, che non arriva più allo stupore. Questo è il momento della consapevolezza e della conoscenza, che marca la possibilità di costruire le alleanze sulla fiducia prima ancora che sugli schieramenti. E così c’è chi vorrebbe fare il vicesindaco, avendo già in testa il probabile candidato sindaco, chi muove le sue rigidità in funzione del risultato personale. Nulla di nuovo, vero, ma ciò era possibile quando le varie declinazioni del Pd erano, in questa provincia, autoreferenziali e concedevano qualcosa agli alleati. I tempi sono cambiati. E sono cambiati anche i potenziali alleati che non si metteranno, almeno alcuni, intorno a un tavolo per parlare prima dei contenuti del programma, che di solito sono disattesi due minuti dopo le elezioni, per poi arrivare agli assetti all’ultimo momento con le soluzioni in tasca, avendo già diviso i partecipanti al tavolo.
Abbiamo capito che dietro la figura dell’unica candidata a segretario/a c’è Franco Ceccuzzi: nulla di nuovo. Se non dovesse essere eletto al primo turno il segretario del Pd senese, vedremo come si comporteranno i quattro concorrenti alla segreteria. Evidentemente i riflettori sono accesi sui congressi e sui risultati di quest’ultimi. E per ora il vicesindaco in pectore, il presunto candidato a sindaco e la Mazzarelli non esprimono quella fiducia di cui si parlava all’inizio dell’articolo.
Ritorni come quello di Massimo Bianchi che ha ripreso la tessera del partito con il quale era in forte disaccordo, probabilmente – ma non lo vogliamo interpretare – ha fatto propria la tesi che è meglio stare dentro una organizzazione e provare a cambiarla piuttosto che starne fuori. Cambiarla: di fronte a un giovane così volenteroso non possiamo che fargli i più sentiti auguri.
Ma la vera sorpresa, poi non più di tanto, è stato sapere che Lucia Cresti, iscritta al Pd, è andata a votare, ovviamente, non sappiamo per chi, e poi non è neppure importante. Quindi facendo un rapido resoconto: l’avvocato De Mossi ha nominato alla presidenza della Fondazione Santa Maria della Scala la Cresti, una iscritta al Pd. Che sia per le competenze nutriamo seri dubbi. E ci è anche venuto in mente che il Pd non ha votato lo statuto della Fondazione, e non solo: il partito di Masi è stato oggetto di un attacco furibondo in Consiglio comunale da parte del Sindaco per il mancato consenso all’articolato statutario. A questo proposito riporto la dichiarazione consiliare dell’avvocato De Mossi, “Per questo motivo leggo la mia verbalizzazione in risposta al fatto che ci sarebbe stato il voto contrario. Le osservazioni effettuate dal consigliere Masi sono inconferenti e contrarie alle modalità con cui lo stesso si è posto all’interno della Commissione e nella quale non ha mai sollevato problemi o dubbi sulla realizzazione dello Statuto. Se la politica deve avere prevalenza sull’Amministrazione, allora si spiega il fallimento chiaro e palese della politica del partito di Masi in tutte le sue declinazioni negli ultimi decenni. Le argomentazioni sono risibili e del tutto eccentriche rispetto alla costruzione dello Statuto, e il consigliere Masi parla di cose che non conosce e che neppure il suo partito conosce: la cultura”.
Allora ci siamo chiesti: perché la nomina della Cresti come presidente? La risposta più credibile, rispetto ad alcune altre possibili, è sicuramente per l’esperienza e la competenza. La Cresti è stata o non è stata l’assessore alla cultura dell’amministrazione Ceccuzzi? Ecco, ci siamo: il cerchio si chiude. Concludendo pacatamente e con tranquillità la realtà è che dentro questo cerchio c’è il Pd e in parte, solo in parte, la città (vedremo) se il partito di Letta saprà uscirne, e come.