Chi, fra qualche anno, farà l’inventario dei danni inferti a questo povero Paese dai due Matteo si domanderà come sia stato possibile che negli anni 10 del Secondo millennio due mitomani di quel calibro godessero di tanto spazio e credito non fra gli psichiatri, ma nell’establishment, dunque nei media, quindi fra gli elettori. Oggi pare impossibile, ma fino a due anni fa un caso umano come il Matteo minor che sta rottamando il suo governo a maggior gloria del Matteo maior dettava la linea a tutte le élite imprenditoriali, finanziarie, giudiziarie, politiche ed editoriali. Pronte a tutto pur di compiacerlo, anche a trasformare i suoi peti in Chanel n. 5. Il caso Consip, che il Fatto racconta fin dal primo giorno, è il perfetto paradigma di questo monumentale tradimento della verità e della decenza. Come sa chi ci legge e non sa chi legge certi giornaloni, il gip romano Gaspare Sturzo ha appena demolito le non-indagini della Procura di Roma per aver salvato dai guai Tiziano Renzi, Verdini e altri a colpi di errori e omissioni mentre indagava su chi aveva osato scoprire lo scandalo: dal pm Woodcock (con l’amica Sciarelli) al capitano Scafarto. Noi quelle nebbie e quelle sabbie le abbiamo raccontate giorno per giorno, mentre giornali e tv fabbricavano il dogma dell’Immacolato Pignatone e la leggenda del Santo Rottamatore.
L’11 aprile 2017 si scoprì che Scafarto, nell’informativa su migliaia di intercettazioni, aveva invertito i nomi di Bocchino e Romeo (riportandoli correttamente nelle trascrizioni allegate) e fu indagato per falso e cacciato dall’Arma, Renzi gridò al complotto contro il su babbo. A Tg3 Lineanotte un Maurizio M’annoi insolitamente vispo trillò: “Colpo di scena! Tiziano Renzi non c’entra!”. Poi riportò come oracolo il commento di San Matteo Martire: “Mio padre ha pianto, Grillo vergognati” (così, a cazzo). Francesco Verderami del Corriere si unì al festino: “C’è un giudice a Roma: il procuratore Pignatone!” (che poi era il pm). Umberto De Giovannangeli della fu Unità denunciò i “corpi dello Stato manipolatori”, roba da “Repubblica delle banane”, ergo aboliamo la cronaca giudiziaria (“basta pubblicare i brogliacci delle Procure”). Repubblica titolò in prima pagina: “Due carte truccate”, “Finti 007 e intercettazioni: così hanno manipolato le carte per coinvolgere Palazzo Chigi”. E sentenziò a firma Carlo Bonini: “Sembra una faccenda uscita dalla sentina dei giorni peggiori della storia repubblicana”. Un carabiniere che inverte due nomi paragonato al Piano Solo, al golpe Borghese, alla strategia della tensione, alle stragi di Stato, alla P2, forse al caso Moro.Con i verbi all’indicativo: Scafarto “ha costruito consapevolmente due falsi” per incastrare i Renzis e “alimentare una campagna di stampa” con una “velenosa polpetta propinata a due Procure e al Fatto ‘in esclusiva’”. Il 15 settembre 2017 il Giornalone Unico sparò in prima che la pm di Modena, Lucia Musti, aveva lanciato al Csm accuse gravissime a Scafarto e al suo ex comandante Sergio De Caprio (il capitano “Ultimo”). Corriere: “La pm accusa i carabinieri del caso Consip: erano degli esagitati, puntavano a Renzi”. Repubblica: “Scafarto e Ultimo mi dissero: vogliamo arrivare a Renzi”. Messaggero: “Scafarto al pm: ‘arriveremo al segretario Pd’”. Secondo Repubblica, la Musti attribuiva a De Caprio e Scafarto la seguente frase (a più bocche, come Qui, Quo e Qua): “Dottoressa, lei se vuole ha una bomba in mano. Lei può farla esplodere. Scoppierà un casino. Arriviamo a Renzi”. Renzi tuonò: “Lo scandalo Consip è nato per colpire me, ma colpirà chi ha falsificato le prove contro il premier. Io so bene chi è il mandante. Ma voglio che siano le istituzioni a fare chiarezza”. Orfini rincarò: “Watergate italiano, eversione, attacco alla democrazia”. Zanda, Fassino e Nencini: “Complotto”. Repubblica titolò in prima: “Caso Consip, manovre e veleni. Renzi: creato solo per colpirmi”. Il direttore, nell’incredibile editoriale “La democrazia anormale”, riuscì a infilare tutto l’armamentario berlusconiano anti-giudici: “Sconvolgente manipolazione delle carte giudiziarie” per “affondare” e “disarcionare un primo ministro” cioè Renzi (che si era già affondato e disarcionato da sé, col referendum del 4 dicembre 2016 e le dimissioni da premier, due settimane prima dello scoop del Fatto e del successivo errore del capitano); “pezzi di apparati che, come troppe volte nella storia d’Italia, agiscono in modo deviato ed eversivo”; “metodo a strascico… con intercettazioni telefoniche e ambientali”; e naturalmente giustizia a orologeria nel “dicembre 2016, un mese politicamente decisivo per il Paese… Perché la ‘bomba’ scoppi, il Fatto avvisa della tempesta”. Poi la Musti smentì di aver mai detto quelle cose al Csm: la “bomba” di cui le parlò Ultimo, presente Scafarto, non era il caso Consip, ma l’inchiesta sulla coop rossa Cpl Concordia. Il nuovo Piano Solo era un Piano Sòla. Il nuovo Watergate, un Waterclosed. E la bomba un’autobomba del Bomba e dei suoi manutengoli a mezzo stampa. Risultato: Scafarto prosciolto da ogni accusa e reintegrato nell’Arma; Woodcock e Sciarelli archiviati; archiviazione di babbo Renzi e Romeo respinta dal gip, che ordina alla Procura di fare quel che non ha fatto in due anni, cioè indagare su entrambi e pure su Verdini.
E i giornaloni? Sopire e troncare. Nemmeno una riga in prima pagina, per carità. Il Corriere si salva con mezza pag. 21. Il Messaggero fa un bassetto a pag. 12. La Stampa un trafiletto a pag. 8. E ora pronti col microscopio elettronico per Repubblica: una breve di 17 righe a pag. 25, senza il nome di Renzi sr., accanto a notizioni tipo “Carpi, pietre contro il treno e selfie sui binari: denunciato 14enne”. A proposito: com’era quella storia sulle fake news di Putin?