di Pierluigi Piccini
Quello che è accaduto recentissimamente in uno degli uffici del Rettorato dell’Università di Siena, ci offre l’opportunità di commentare i casi di omofobia sempre più numerosi nel nostro Paese. Quello che più stupisce nel caso di Siena è l’accostamento di una ‘affettività’ dell’essere umano, a una condizione dell’essere umano, quella politica cioè. Fino agli esordi del secolo passato gli omosessuali dovevano difendersi dal mostrare la loro ‘particolare affettività’, per dirla con Enzo Noé Girardi, nascondendosi o ostentando una presunta eterosessualità in modo da eludere i risolini ammiccanti di coloro che si sentivano ‘diversi’ da quelli che definivano ‘diversi’. Così Marcel Proust crea, per ingannare la testimonianza dei sensi, il personaggio del barone di Charlus. Ma la sua posizione sociale lo protegge dal pubblico ludibrio, nonostante la sua assidua frequentazione delle ‘pissotières’, tanto che uno dei servi nella stessa giornata lo vede, con indosso i suoi pantaloni gialli e crede che “deve essersi preso di certo qualche malattia per restare così a lungo dentro un pisciatoio. Ecco cosa succede a correre sempre dietro alle donne”. Ma agli inizi del secolo passato gli omosessuali hanno raggiunto un grado di emancipazione tale da permettere loro di uscire allo scoperto. Tutto ciò è stato possibile grazie alle campagne di informazione e alle lotte che hanno fatto sì che questa condizione dello spirito umano, se così possiamo dire, non fosse vista più come una deviazione, come una malattia. Gli omosessuali sono usciti allo scoperto hanno ostentato la loro omosessualità, tanto che ancora oggi scendono in piazza travestiti da quello che non sono per avere la possibilità di mostrare l’appartenenza a un gruppo. Quello che è accaduto a Siena è un po’ diverso e non posso dire se è accaduto o accada anche in altri contesti, ma posso dire che l’atto di Siena ha messo insieme la condizione affettiva dello spirito umano, con un’altra condizione dello spirito umano, quella politica. Si è associato la politica a uno stato dell’anima che non ha nulla a che fare con la politica, ma ha a che fare soltanto con la parte più intima di noi stessi. Quelle affettività non hanno bisogno di essere ostentate, ma hanno solo bisogno di essere accolte e di essere viste non con disprezzo. Ma dal caso senese viene fuori un’altra riflessione: l’omosessualità è scissa su due livelli, quello che concerne l’appartenenza a una élite e quello che ti pone fuori da quella élite. Se sei all’interno di un gruppo, se appartieni a un gruppo e sei nell’élite, sei protetto e torni d’un balzo indietro nel tempo, torni ai primordi a quella culla dove la protezione c’è anche se è non voluta. Ma la diversità cambia registro e passa da una questione di affettività a una questione di appartenenza e nel caso in oggetto a una questione politica. Ed ecco che l’omofobia diventa una questione politica, un fatto di lotta di appartenenza e dunque, non sono più i singoli che agiscono, ma sono i ceti sociali che si scontrano e che cercano di proteggersi, come accade per i membri di ogni altra associazione. A Siena è accaduto proprio questo, è stata attaccata una dipendente dell’Università che ricopre un ruolo sindacale, ed ecco che tutta la comunità universitaria con il Magnifico Rettore in primis, si mobilitano e giustamente denunciano. Ma ci sono altri casi all’interno dell’Università di Siena per i quali la stessa istituzione e gli organi che la compongono non fanno nulla, sono impietriti? Sarebbero allora degli esclusi che farebbero parte di quel numeroso gruppo che non è degno di essere difeso, che non è degno di avere alcun grado di protezione se non quella dell’oblio. Allora aveva ragione Oscar Wilde a dire dal carcere, rivolgendosi al suo amato che: “il tuo silenzio è stato orribile e non è stato un silenzio di settimane o mesi soltanto ma di anni di anni anche a contarli come li contano coloro che come te vivono felici e riescono appena a scorgere gli aurei piedi dei giorni che fuggono danzando e inseguono ansando il piacere” queste persone hanno bisogno che qualcuno insegni loro “il significato del dolore e la sua bellezza”.