Poesia “Palio” di Eugenio Montale, contenuta nella raccolta “Le occasioni” (1939).
La tua fuga non s’è dunque perduta
in un giro di trottola
al margine della strada:
la corsa che dirada
le sue spire fin qui,
nella purpurea buca
dove un tumulo d’anime saluta
le insegne di Liocorno e di Tartuca.
Il lancio dei vessilli non ti muta
nel volto; troppa vampa ha consumati
gl’indizi che scorgesti; gli ultimi annunzi
quest’odore di ragia e di tempesta
imminente e quel tiepido stillare
delle nubi strappate,
tardo saluto in gloria di una sorte
che sfugge anche al destino. Dalla torre
cade un suono di bronzo: la sfilata
prosegue fra i tamburi che ribattono
a gloria di contrade.
È strano: tu
che guardi la sommossa vastità,
i mattoni incupiti, la malcerta
mongolfiera di carta che si spicca
dai fantasmi animati sul quadrante
dell’immenso orologio, l’arpeggiante
volteggio degli sciami e lo stupore
che invade la conchiglia
del Campo, tu ritieni
tra le dita il sigillo imperioso
ch’io credevo smarrito
e la luce di prima si diffonde
sulle teste e le sbianca dei suoi gigli.
Torna un’eco di là: ‘c’era una volta…’
(rammenta la preghiera che dal buio
ti giunse una mattina)
‘non un reame, ma l’esile
traccia di filigrana
che senza lasciarvi segno
i nostri passi sfioravano.
Sotto la volta diaccia
grava ora un sonno di sasso,
la voce della cantina
nessuno ascolta, o sei te.
La sbarra in croce non scande
la luce per chi s’è smarrito,
la morte non ha altra voce
di quella che spande la vita’.
ma un’altra voce qui fuga l’orrore
del prigione e per lei quel ritornello
non vale il ghirigoro d’aste avvolte
(Oca e Giraffa) che s’incrociano alte
e ricadono in fiamme. Geme il palco
al passaggio dei brocchi salutati
da un urlo solo. È un volo! E tu dimentica!
Dimentica la morte
toto coelo raggiunta e l’ergotante
balbuzie dei dannati! C’era il giorno
dei viventi, lo vedi, e pare immobile
nell’acqua del rubino che si popola
di immagini. Il presente s’allontana
ed il traguardo è là: fuor dalla selva
dei gonfaloni, su lo scampanio
del cielo irrefrenato, oltre lo sguardo
dell’uomo – e tu lo fissi. Così alzati,
finché spunti la trottola il suo perno
ma il solco resti inciso.
Poi, nient’altro.
*Testo: Le Occasioni di Eugenio Montale