di Massimo Franco
Ora si aspetta di vedere quale sarà il prossimo argomento sul quale la maggioranza sceglierà di dividersi. A occhio, l’invio di aiuti militari all’Ucraina rimane il pretesto preferito di M5S e Lega; ma ce ne saranno senz’altro diversi. Le tensioni sulle misure che riguardano la concorrenza, considerate fino a due giorni fa potenziali bombe a orologeria per il governo, invece, sono di colpo rientrate. Matteo Salvini lascia capire di avere strappato al premier Mario Draghi quanto voleva, o quasi. Già protesta per la mancata «pace fiscale». Ma la sensazione è che l’aut aut di Palazzo Chigi alla coalizione abbia sortito l’effetto voluto. Avvertendo i partiti che entro il 31 maggio la legge doveva essere approvata, se necessario ricorrendo alla fiducia, Draghi ha fatto capire che un’intesa era obbligatoria: sia sulle concessioni balneari, sulle quali Carroccio e berlusconiani bloccavano tutto da mesi; sia sulla riforma del catasto, chiesta dalla Commissione europea. D’altronde, già da ieri mattina tutti insistevano sul fatto che «il governo non cadrà». L’affermazione tradiva l’incertezza creata artificiosamente nei giorni precedenti: al punto da evocare una crisi di governo surreale mentre è in atto la guerra della Russia contro l’Ucraina. Lo scambio di accuse tra il segretario del Pd, Enrico Letta, e Salvini è il riflesso del nervosismo dentro la maggioranza; con Letta pronto a additare la Lega come sabotatrice del governo, mentre il grillino Giuseppe Conte, alleato della sinistra, non punterebbe a una crisi. E con Salvini pronto a scaricare invece su M5S e vertice del Pd la tentazione di una rottura. Scoperto quello che appare l’ennesimo bluff, tuttavia, la situazione rimane confusa. E i distinguo e gli scarti di una parte della coalizione hanno rianimato le diffidenze, fondate oppure gonfiate, verso l’Italia. I duecento miliardi di euro del Piano per la ripresa che debbono arrivare dall’Europa hanno reso la Commissione Ue più esigente sulle riforme che il governo deve approvare. Gli avvertimenti sul Patto di stabilità sono quasi quotidiani. E rimandano al debito pubblico esorbitante del nostro Paese. Non solo. Perfino rispetto alle sanzioni contro la Russia dopo l’aggressione all’Ucraina, la Farnesina è stata costretta a precisare che l’Italia le appoggia. «Non mettiamo nessun tipo di veto sulle sanzioni per l’import di petrolio dalla Russia», ha detto il ministro degli Esteri grillino, Luigi Di Maio, smarcandosi da Conte. Ma in Senato, una strana saldatura tra M5S e la destra d’opposizione di FdI ha tentato di forzare la mano chiedendo che Draghi si presenti in Parlamento domani, prima della riunione del Consiglio europeo. Manovra fallita, ma in un alone di opacità sul futuro del governo.