Oltre tremila donne hanno chiesto aiuto ai centri antiviolenza

Negli ultimi 15 anni 121 femminicidi, 41 i minori lasciati orfani sono i dati che emergono dall’Osservatorio regionale
di Ilaria Ciuti
Numeri di un allarme sociale: 121 femminicidi in Toscana in 15 anni, dal 2006 al 2020, quattro nell’ultimo anno. Donne uccise per questioni di genere, cioè perché donne, per mano di uomini violenti. I numeri presentati ieri, in vista della giornata internazionale contro la violenza sulle donne di domani, si trovano tra i fogli del 13° rapporto annuale ( 2020) dell’Osservatorio regionale sulla violenza di genere. Sono intervenute le assessore al sociale e alle pari opportunità, Serena Spinelli e Alessandra Nardini, convinte che « i dati faticosamente raccolti ci servano a capire in quale senso moltiplicare l’impegno della Regione per sostenere il suo patrimonio più importante: le donne i bambini». Perché dietro alle mamme ammazzate sono rimasti 41 orfani “speciali”, oltre ai bambini vittime essi stessi di violenza o spettatori di violenza sulle madri.
Femminicidi che difficilmente arrivano all’improvviso ma dopo una lunga scia di premesse che partono dalla violenza nelle parole, passano alle minacce e poi alle botte. Delitti che sono trasversali alle classi sociali, ai gradi di istruzione, alla condizione economica e che si consumano dentro lo stesso luogo, nella la coppia, per mano del partner o dell’ex partner: è così in 87 casi su 121.
Sono più della media nazionale, in Toscana, i femminicidi di donne anziane e straniere: le vittime over 75 negli ultimi cinque anni sono il 35,1% del totale contro il 16,7% nazionale e le straniere il 32,4% rispetto al 23,4%. Mentre se si era temuto che durante la chiusura forzata in casa della pandemia i delitti aumentassero, questo non è successo. « Né si può realmente dire che sono diminuiti perché la tabella non scende o sale linearmente e per ora nessun trend è stabile » , precisa la ricercatrice dell’ Osservatorio, Rosa Di Gioia. « Il fatto è che i femminicidi restano stabili mentre il resto degli omicidi diminuisce. È un dramma strutturale, non emergenziale, legato a una cultura patriarcale del possesso non ancora debellata per cui tu esisti solo se sei mia proprietà, Se ti sottrai e affermi la tua libertà muori » , spiega Francesca Ranaldi del Centro antiviolenza La Nara, di Prato.
In genere una morte annunciata. Solo nel 2020, sono 3.132 ( per via della chiusura forzata l’accesso diretto è sceso dal 65% degli anni precedenti al 38%) le donne che si sono rivolte a uno dei 24 centri antiviolenza con 96 punti di ascolto della Toscana perché si sentivano a rischio. Il 60% , tra i 30 e i 49 anni. Dichiarano di subire violenza psicologica ( 85%) insieme a violenza fisica ( 60,9%), o anche economica ( 27,2%), con l’aggiunta di minacce ( 21%). I Centri offrono servizi di ascolto ( usati dal 91% delle donne che sono loro rivolte), accoglienza ( 77,3%) e consulenza psicologica (52,7%), oltre a sostegno per trovare un percorso di uscita, « ora più lungo e difficoltoso dopo che la pandemia ha diminuito le assunzioni delle donne dal 48 al 43%», dicono ai Centri. I quali hanno in totale 20 case rifugio segreti. Sono arrivati a 5, invece, i Centri per uomini autori di violenza. Nel 2020 sono state assistite dai consultori 752 persone sulle sulle 3.638 che si sono presentate, di cui il 78% donne.
Quanto al ‘21, non tira buon vento. Basti ricordare la mattanza negli ultimi giorni di quattro donne e tre bambini in Italia, le prime con precedenti denunce e allontanamenti dei rispettivi assassini che dimostrano come leggi e punizioni non bastino se non ci sono protezione e prevenzione. A cominciare dall’abbattimento delle disuguaglianze e discriminazioni di genere e della cultura patriarcale che resiste. Mentre la Casa della Donna di Pisa registra tra gennaio e ottobre un record di 1.200 chiamate telefoniche come in pandemia. E dichiara che aumentano le studentesse universitarie e le donne con disabilità. Torna a crescere lo stalking. Fermare la violenza diventa il primo imperativo. Lo diranno domani anche in Consiglio regionale una sedia vuota e un paio di scarpette rosse al centro dell’aula: « Per ricordare che nessuno di noi sarà mai libero finché una donna o una ragazza non saranno libere di vivere come meglio credono» dice il presidente del Consiglio, Antonio Mazzeo.
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