MARIA CRISTINA CARRATÙ
“What is the problem with religion?”, ovvero: che problema abbiamo (noi europei) con la religione? Domanda secca, che tocca un nervo scoperto dell’occidente contemporaneo, e fa da titolo al dibattito che si terrà oggi in Palazzo Medici Riccardi (ore 16,30-19,30, Sala Luca Giordano) organizzato dall’Istituto Universitario Europeo e dalla Scuola fiorentina di Alta formazione per il dialogo interreligioso e interculturale, ospite, fra gli altri, il politologo e sociologo Olivier Roy, titolare della cattedra di studi mediterranei dell’Eui e consulente di vari governi europei sui rapporti con l’islam.
Professor Roy, che “problema” c’è, oggi, con la religione?
«Un “problema” che riguarda il suo ruolo in una società non solo secolarizzata, ma priva di cultura religiosa (salvo che, per ora, in Polonia e Italia). A differenza di quanto è avvenuto fino agli anni ‘60, quando la Chiesa poteva presentarsi come garante morale della cultura europea oggi la fine della famiglia tradizionale, la disconnessione tra sessualità e riproduzione, i diritti degli omosessuali, stanno configurando un modello antropologico giudicato, dalla Chiesa stessa, pagano. Il che la fa progressivamente allontanare dalla società civile».
Il conflitto di fondo, cioè, non è tanto con questa o quella politica sulle religioni, ma con la società nel suo insieme.
«Nel XIX secolo gli anticlericali conoscevano benissimo il loro catechismo, mentre la società di oggi non è antireligiosa, ma peggio: non capisce proprio la dimensione religiosa. Da qui la netta pressione che subiscono le libertà religiose, vedi le polemiche su velo islamico e moschee, ma anche su circoncisione, ruolo dei sacerdoti, segreto della confessione. In un modo o nell’altro, tutte le religioni hanno lo stesso problema: il loro crescente divario con la cultura dominante e la società civile».
Eppure non rinunciano ai loro spazi, vedi la richiesta di nuove moschee.
«La ricerca di visibilità deriva proprio dal fatto di essere sempre meno inserite nella vita quotidiana della gente. Un tempo il simbolo religioso era tutt’uno col paesaggio, oggi si è trasformato in semplice oggetto culturale, risultando così qualcosa di incongruo, se non di fanatico. I musulmani europei, per integrarsi negli spazi della vita quotidiana con le loro moschee, si rifanno a un modello, quello cristiano delle parrocchie e delle cattedrali, che è in crisi».
È una soluzione eliminare del tutto il tema religioso dallo spazio pubblico?
«La libertà religiosa è sancita nelle nostre costituzioni. E non si tratta solo di libertà di opinione, ma anche e soprattutto di libertà di praticare la propria religione.
Vietare la pratica religiosa nello spazio pubblico, significa cessare di essere società liberali. Le tensioni sorgono quando credenti e “laici” non condividono più lo stesso sistema di valori. Le religioni dovrebbero riconnettersi alla cultura, “inculturarsi” di nuovo come hanno sempre fatto nella storia, anziché aggrapparsi a sistemi normativi ( questo si fa, questo no), dimenticando spiritualità e apertura. È ciò che dice Papa Francesco — ma a fronte a una resistenza, interna alla Chiesa stessa, che sta sotto gli occhi di tutti».