Michele Rago cura per l’editore Bompiani una raccolta di Romanzi francesi dei secoli XVII e XVIII. I due volumi della ricca antologia vedono la luce nel 1951, accolti nella prestigiosa collana Pantheon dove, dieci anni prima, era apparsa Americana di Elio Vittorini, florilegio d’una letteratura ancora poco nota in Italia, che attirò un gran numero di lettori, e resta un episodio rilevante nelle cronache letterarie, a influenzare certi esiti della narrativa italiana del dopoguerra e certe sue novità.
Il proponimento che orienta la scelta dei testi selezionati, è pianamente dichiarato da Rago in apertura dell’Introduzione: «Uno degli aspetti più interessanti che è possibile scoprire ripercorrendo ora i primi due secoli di questa narrativa è l’indagine che decine di romanzieri, e con essi tutta una società in movimento, svolsero sui rapporti fra l’uomo e la donna proprio in un momento in cui, dalle lotte tra le fazioni dei príncipi alle lotte fra le classi, press’a poco dalla Fronda alla Rivoluzione, si assiste – in Francia più che negli altri paesi – alla più profonda ed alla più evidente delle modificazioni ambientali che mai altra società ricordi. Qui sfiorisce la vecchia morale con essa la vecchia concezione della donna».
Una ‘concezione della donna’ che appare superata, e che non dà conto dei mutamenti profondi intervenuti nella società che affermano l’esigenza di una nuova definizione dell’amore, «non tanto», avverte Rago, «come svolgimento e mutamento di una teoria amorosa, ma come personificazione di sentimenti nelle figure che i romanzieri hanno saputo trasmetterci».
Forse, e della medesima epocale portata dei cambiamenti descritti nei romanzi nel Sei e nel Settecento in Francia, da cent’anni in qua in Occidente, altrettanto profondi mutamenti hanno inciso non solo sui ‘rapporti fra l’uomo e la donna’, ma sulla definizione dell’amore.
Dirò che mi lasciano insoddisfatto certe controversie intorno a impegnative parole quali sessualità (e sesso); corpo (e piacere); e sentimento, e amore, e coscienza, e libertà eccetera, attizzate negli ultimi mesi, fino a prender fuoco nelle polemiche cresciute intorno alla presentazione in parlamento di un disegno di legge inteso al riconoscimento della dignità delle plurime identità sessuali. Controversie disordinate, mal condotte in un intrecciarsi, un sovrapporsi e, più assai, un confondersi di testimonianze e di sicurezze convulse declamate fino a divenire rumore di fondo, coacervo di opinioni, di ferme convinzioni gridate, di tesi ribadite, di improrogabili rivendicazioni e di indignate denunce.
E tutto ciò, in questo nostro tempo che richiede, non consente di eludere, per stare alle parole di Rago, una nuova definizione dell’amore nella quale impegnarsi. Ma, da quelle controversie che ho detto, l’insoddisfazione e il poco vantaggio che m’è parso di poterne cavare, mi hanno allontanato dal seguirle e consigliato, per cominciare a mettere un po’ d’ordine nelle idee mie sui miei sentimenti, la lettura degli autori raccolti in quella esemplare antologia di Romanzi francesi dei secoli XVII e XVIII. E di far tesoro delle note introduttive e di commento che, con rara finezza, Rago appone ai testi di quegli scrittori, riguardando ai loro ragionamenti sull’amore da quell’anno 1951, ovvero da un tornante aspro, dopo tanta guerra, ma ricco dei propositi d’una umanità che vuol rinnovarsi e farsi, finalmente, con giuste leggi, più libera.
Le leggi, e lo ‘spirito delle leggi’. Nell’antologia, un racconto di Montesquieu ambientato nell’isola di Venere, Il tempio di Cnido, datato 1724. Ne riporto il commento di Rago: «il giudizioso Montesquieu tenterà ancora una volta la strada, per lui inconsueta, del racconto, e innesterà sul mito una sua leggera polemica contro la sensualità corrente, opporrà alla Sibari dissipata la sua Cnido santificata dagli amori adolescenti, agli amori da trivio il casto amore nei campi. S’era posto il còmpito da affrontare, la ricerca della felicità. Lo spirito delle leggi per la felicità umana. Vuol rintracciare il segreto della felicità in amore: essa – dice – non deriva dai sensi, deriva dai sentimenti. È una tesi semplice ed antica».