BEPPE CARLETTI e lo storico gruppo hanno pubblicato il 36° album “Solo esseri umani” e tornano a Castagnole Lanze
piero negri
Beppe Carletti dice che i Nomadi, che lui ha fondato nel 1963, sono la seconda band pop più antica del mondo dopo i Rolling Stones: 58 anni di storia nei quali 23 musicisti hanno fatto parte del gruppo («22 più 1, cioè io, che ci sono sempre stato») con una grande ferita, la morte del cantante Augusto Daolio nel 1992, amatissimo e iconico, come si direbbe oggi. Tra i record, forse andrebbe messo in conto anche questo: sabato 28 agosto, i Nomadi tornano a Castagnole Lanze, 4000 abitanti tra Langhe e Monferrato, per la 47esima volta: «Ci siamo stati nel ‘67, poi ci hanno richiamato nel ‘74 e da allora in pratica non abbiamo mai mancato di tornarci – dice Carletti -. A Castagnole mi sento a casa, sono anche cittadino onorario del paese. Lorenzo Abbate, che organizza il concerto, me lo dice sempre: “Casa mia è anche casa tua”».
D’altra parte, nota lui, dei 23 che hanno fatto parte del gruppo, neanche uno veniva o viene dalla città: «Non è che li vado a cercare, è che i Nomadi per qualche ragione attraggono chi viene dai paesi, oppure noi siamo attratti da loro, chissà. Forse perché le nostre canzoni parlano dell’Italia vera, perché cantiamo la gente. Non sono canzoni politiche, ma hanno dentro i valori della vita. È il nostro segreto, ciò che ci fa andare avanti da 58 anni, anche se già negli Anni 70 ci dicevano che eravamo superati». I Nomadi, superati dagli Anni 70: potrebbe essere uno slogan, se Carletti fosse un tipo un po’ più sarcastico (ma non lo è per niente, meno male). Il concerto di Castagnole Lanze (intorno al quale nel tempo è cresciuto un festival che si chiama Contro) serve
anche da raduno estivo del fan club dei Nomadi, sempre piuttosto vivace, e ha un’altra particolarià: «Alle 18.30 facciamo una mezz’oretta, sei o sette canzoni che poi non suoniamo la sera. È una specie di anteprima che facciamo solo a Castagnole, per rendere la giornata un po’ speciale».
Sempre a proposito di numeri, i Nomadi quest’anno hanno pubblicato il 36° album in studio, Solo esseri umani, realizzato in quattro mesi di lavoro nel loro studio di Reggio Emilia. Per la prima volta hanno dedicato una canzone ad Augusto: Il segno del fuoriclasse. «Sì – commenta Carletti – era un fuoriclasse. E questa canzone per me è una gioia, sono proprio contento di com’è venuta, nel testo e nella musica. Prima non ci avevamo mai pensato, forse per paura di essere accusati di sfruttarne la memoria. Ma dopo 28 anni, cosa vuoi sfruttare? Adesso conta solo ricordare un amico. Che è stato riconosciuto nella grandezza solo dopo la morte».
Daolio l’ha conosciuto a sedici anni: «Sul palco. Ci chiamavamo I Sei Nomadi, avevamo già un cantante, ma era vecchio, aveva 35 anni! Il chitarrista era di Novellara. Ci ha detto: c’è un ragazzo del mio paese, fa il cameriere e canta benissimo. A Trecenta di Rovigo, in un dancing, Augusto ha fatto tre o quattro canzoni con noi, il pubblico era entusiasta, il gestore del locale mi fa: se prendete questo cantante, vi garantisco una serata al mese. Gli ho risposto: non si preoccupi, Augusto da stasera è dei nostri. E così, a metà gennaio ‘63, è partita la nostra storia».
«Essere un grande artista era nel suo destino. Aveva una voce unica inimitabile, un dono naturale che lui sapeva gestire, anche se fumava ottanta sigarette al giorno. Era il suo unico vizio, quello che l’ha ucciso. Una volta ha scritto: “Grazie a Beppe che mi ha fatto da mamma”. La verità è che siamo cresciuti insieme, da ragazzini siamo diventati ragazzi e poi uomini insieme, in modo sano. Non abbiamo mai litigato, ma neanche discusso, ognuno aveva il suo ruolo. Lui si fidava delle mie scelte, non ha mai avuto la tentazione di fare il solista. I Nomadi erano la nostra famiglia, sempre insieme: un anno, il 1982, abbiamo fatto 220 concerti, 31 su 31 giorni, a luglio».
Andare avanti dopo la morte di Augusto Daolio non fu una decisione scontata. «Tutt’altro. Ero il suo guardaspalle, ci compensavamo, due corpi e un’anima sola. Mi sono detto: cosa faccio da solo? E poi anche: ho 46 anni, non so fare altro. Ho pensato a quelle volte in cui mi diceva: pensa come sarebbe bello, Beppe, se i Nomadi andassero avanti anche dopo di noi… Non ci dormivo la notte, poi il presidente della Warner, Gerolamo Caccia Dominioni, mi diede un contratto da firmare, in bianco. Allora pensai di prendere due cantanti per liberarli un po’ dal peso del confronto. E scoprii che i fan volevano che andassimo avanti: mai avuto tanta gente ai concerti, anche la vendita dei dischi è stata forte. C’era voglia, curiosità di vedere cosa facevano questi Nomadi senza Augusto. E noi il ritorno l’abbiamo preparato bene, in modo professionale».
Carletti ha appena compiuto 75 anni (il 12 agosto). Ci saranno i Nomadi dopo di lui? «Intanto, sto bene e finché avrò le forze per farlo voglio continuare a suonare. Lo faccio da quando ho 9 anni, è la mia vita. I Nomadi sono un’idea mia e di Augusto. I Nomadi dopo di me, non so… Ho detto ai miei figli: pensateci voi. E loro hanno detto che chiuderanno. “Finito tu, finisce tutto”. Non è facile essere Nomadi, bisogna essere credibili. E poi, dico la verità: sono geloso di questa storia».