CHIUSE LE LISTE PER LE AMMINISTRATIVE
Il centrodestra ricuce l’alleanza in 21 delle 26 città capoluogo al voto. Il campo largo del centrosinistra si restringe: rinsalda l’intesa Pd-M5S nei centri più grandi ma senza attrarre il centro che si presenta in ordine sparso
DI EMANUELE LAURIA
ROMA — Il centrodestra si affaccia sulle amministrative con la sensazione di chi rischia di mettere le mani in una trappola: ha poco da guadagnare e molto da perdere. Le liti fra i leader, che da oltre un mese non riescono neppure a organizzare un vertice, non hanno impedito di ricucire l’alleanza in 21 dei 26 Comuni capoluogo in cui si andrà al voto il 12 giugno. Grazie anche ad accordi trovati in extremis, dopo furiose battaglie interne, in realtà rilevanti: prima su tutte Palermo. Ma la situazione di partenza è quella di una coalizione che deve difendere il vantaggio di avere un’amministrazione uscente in 18 dei maggiori centri. Insomma, qualsiasi risultato diverso da un successo di larghe dimensioni equivarrebbe a un passo falso, per Meloni, Salvini e Berlusconi. Che da queste consultazioni ricaveranno un segnale sulla tenuta del loro traballante patto, a meno di un anno dalle Politiche.
Spirato ieri il termine per la presentazione delle liste (con l’unica eccezione della Sicilia), riflettori puntati sulle due città più grandi: sia a Genova che a Palermo il centrodestra corre unito. Ed è favorito dal pronostico. Ma la cartina di tornasole di queste amministrative è rappresentata inevitabilmente dai centri in cui invece è diviso: ovvero Messina, Catanzaro, Parma, Verona e Viterbo. Gli scenari, in ciascuno di questi capoluoghi, sono diversi. Fdi e Lega vanno assieme a Verona sull’uscente Federico Sboarina, mentre Fi appoggia il redivivo Flavio Tosi. A Catanzaro gli azzurri e il partito di Matteo Salvini sostengono il professore universitario Valerio Donato, i meloniani hanno deciso invece di proporre la deputata Wanda Ferro. A Messina, invece, è la Lega a correre da sola puntando su Federico Basile (il candidato proposto dall’ex sindaco Cateno De Luca) mentre Fi e Fdi appoggiano Maurizio Croce. A Parma, Lega e Forza Italia, insieme ad altre realtà delcentrodestra, sostengono Pietro Vignali, ex sindaco che fu arrestato durante il suo mandato, mentre Fratelli d’Italia ha deciso di puntare su Priamo Bocchi. A Viterbo una parte di Forza Italia sostiene il candidato della Lega, Claudio Ubertini, dall’altra si presenta la civica Laura Allegrini appoggiata da Giorgia Meloni.
In questo dedalo di intese mancate e risentimenti tenta di insesirsi il centrosinistra: l’asse Pd-M5S che mira a riconquistare l’egemonia perduta negli enti locali non lamenta divisioni nei 26capoluoghi di provincia interessati dalle amministrative. E testa la bontà del progetto del campo largo che – a meno di modifiche della legge elettorale – proporrà l’anno prossimo alle elezioni per il rinnovo di Camera e Senato. I giallorossi provano a imporsi con Nicola Fiorita a Catanzaro, dove si è chiuso il lungo regno di Sergio Abramo; cercano con Franco De Domenico di riconquistare Messina dopo 15 anni; tentano con l’ex calciatore Damiano Tommasi l’impresa a Verona, città tradizionalmente di centrodestra. E nello scenarioframmentato di Viterbo (8 candidati sindaci, 724 aspiranti consiglieri in una cittadina di 67 mila abitanti) giocano la carta Alessandra Troncarelli, assessore regionale nella giunta Zingaretti. La sfida del cuore, per il Pd, è a Taranto, la città dell’Ilva, dove il Nazareno ripropone Rinaldo Melucci, il sindaco sfiduciato pochi mesi fa, e il centrodestra unito punta su Walter Musillo, che dei dem è stato segretario provinciale.
Gara in salita soprattutto per i 5Stelle, che dopo gli exploit in solitaria degli anni scorsi (simboleggiati dai successi di Roma e Torino) ora in diversi centri non riescono neppure a presentare la lista: capita, per dire, a Verona, Parma, Belluno e Monza. E nella Sicilia dove nel 2012 cominciò l’assalto di Beppe Grillo ai palazzi delle istituzioni, il simbolo dei 5S ci sarà solo a Palermo, Messina e Scordia, nel Catanese. Non esattamente una premessa esaltante, per Giuseppe Conte e quello che è ancora il partito di maggioranza relativa in Parlamento.
Un dato che si può già appuntare, a bocce ferme, è il fallimento di qualsiasi ipotesi di Centro unito che si vagheggiava fino alle elezioni del Quirinale: Azione di Carlo Calenda, in crescita nei sondaggi, e Italia Viva sono divisi nei sei principali teatri del voto. Con l’eccezione di Genova, dove entrambe le formazioni, pur senza presentare simboli, hanno candidati nelle liste del sindaco uscente di centrodestra Marco Bucci. Iv corre col centrodestra o parte di esso pure a Palermo (malgrado Renzi abbia detto no alla convergenza su Roberto Lagalla), a Verona con Tosi e a Catanzaro con Donato. Azione va da sola a Palermo (con l’esponente di +Europa Fabrizio Ferrandelli), a Catanzaro (con il civico Antonello Talarico), a Parma con Dario Costi e a L’Aquila con Antonello Talarico. Opzioni diverse che danno poche indicazioni sulle scelte future. E che non rassicurano Enrico Letta sulla strada dell’allargamento del suo schieramento ai riformisti.