L’ad Bastianini: “La priorità è una soluzione strutturale Ottimisti sui tempi”
di Vittoria Puledda
MILANO — «Abbiamo siglato un accordo di riservatezza che regola l’accesso alla data room: non siamo in posizione di rispondere a domande sulla potenziale operazione ». Guido Bastianini, amministratore delegato di Mps, alla presentazione dei conti semestrali gela le speranze degli analisti. Nessun dettaglio sul perimetro delle attività che potrebbero passare, nessun commento sulle singole società prodotto o sulla rete. “Solo” la conferma quasi scontata nella sua posizione: «Le priorità della banca e dell’azionista Mef vanno nella direzione di una soluzione strutturale e in questa prospettiva Unicredit si inserisce perfettamente». Poi aggiunge: «Vedremo quali saranno le tempistiche ma noi siamo ottimisti ».
Così, Bastianini si è concentrato sulla presentazione dei dati: il miglior risultato operativo netto da cinque anni a questa parte; la conferma del ritorno all’utile anche nel secondo trimestre (83 milioni) che porta il risultato del primo semestre a quota 202 milioni, contro il rosso da un miliardo nello stesso periodo dello scorso anno; il forte balzo nel risparmio gestito (8 miliardi di nuovi flussi lordi) e, complessivamente, una «macchina commerciale» in accelerazione. Non fosse che si sta parlando del Monte, sembrerebbe l’ennesimo resoconto semestrale con risultati in forte crescita, compreso il recupero dei ricavi pre-Covid (che si conferma anche per Mps). Ma il Monte, da tempo e in particolare dalla settimana scorsa, fa storia a sé e i dati di bilancio possono essere un buon viatico per l’aggregazione, non troppo di più. La Borsa ha festeggiato (+4,85%) per la semestrale migliore del previsto e ha premiato anche il candidato alle nozze (+2,54% Unicredit) ma l’attenzione resta tutta sulla potenziale fusione. La banca ha confermato che in quest’ottica non sta lavorando all’ipotesi aumento di capitale da 2,5 miliardi e ha ribadito che gli stress test dell’Eba confermano il quadro già fornito (con quell’aumento il Cet1 sarebbe al 6,6% anche nel caso di scenario avverso). Ma comunque ora è al non esaltante livello di 10,6% (rispetto al 14% delle migliori). E per quanto i rischi legali siano scesi del 40% dopo l’accordo con la Fondazione (ora sono a 4,9 miliardi) e i segnali di miglioramento ci siano, restano le parole del giorno prima del ministro Daniele Franco: il piano industriale della banca non è conforme alle indicazioni della Ue, la riduzione dei costi non basta, una soluzione stand alone non è immaginabile.
Non bastano certo le crescite a due cifre di Widiba (la “Fineco” del Montepaschi) né i dati stabili sugli Npe (i crediti deteriorati) o ancora il deficit prospettico, stimato a novembre 2020 in 1,5 miliardi, che si riduce a meno di 500 milioni e più in là nel tempo (giugno 2022). Serve la soluzione “strutturale”. E l’unica in pista è quella di Unicredit.