di Luca Serranò
Quando dal container colmo di carta è affiorato il corpo senza vita, anche i più esperti investigatori dell’Arma hanno chinato il capo per un secondo, come immaginando il calvario di quel giovane. La notte passata in un cassonetto, per trovare riparo dal freddo, l’arrivo del compattatore, le disperate richieste di aiuto prima restare intrappolato. Ora quello scenario pare almeno in parte confermato dai primi risultati dell’autopsia.
Mohamed, il cittadino somalo di 20 anni trovato cadavere lunedì scorso in una azienda cartiera a Empoli, è morto nel peggiore dei modi. I medici hanno riscontrato lesioni compatibili con la compressione, legata proprio alla manovra del compattatore. Altri giorni serviranno per avere un quadro preciso, ma fonti vicine all’inchiesta escludono ormai in modo definitivo altre ipotesi, come quella che il giovane fosse morto per un malore durante il sonno, prima dell’arrivo del mezzo per la raccolta dei rifiuti.
Le indagini dei carabinieri del nucleo investigativo, dirette dal pm Antonino Nastasi, proseguono nel frattempo per ripercorrere a ritroso il percorso dei compattatori per definire gli ultimi momenti di vita del ragazzo. Mohamed era sbarcato in Italia nel 2013, e già dal suo arrivo si era isolato, iniziando a vagare per l’Italia. La notte prima della tragedia era stato fermato da una volante mentre urlava parole sconnesse in mezzo alla strada, in via Baracca a Firenze, lamentandosi di non riuscire a trovare una sistemazione.