IL PUNTO / I COMMENTI
L’evoluzione è inevitabile. Molti i precedenti
Il Movimento 5 stelle, che nelle recenti elezioni ha ottenuto la maggioranza relativa raccogliendo un terzo dei consensi, sta affrontando la complessa metamorfosi da promotore di proteste a gestore del potere. Il passaggio obbligato è la costituzione di un partito, comunque si voglia chiamare una formazione politica permanente con diffuse rappresentanze nelle istituzioni. È un passaggio che tutti i movimenti non effimeri hanno dovuto affrontare. Si ricordano quelli antidemocratici, fascisti, nazisti e comunisti, che impiantarono il partito spesso liquidando le ali più legate al movimento per poi imperniare sul partito a guida monocratica un regime totalitario. Non è questo il caso dei 5 stelle, che non nutrono aspirazioni antidemocratiche, nonostante qualche esibizione esageratamente antiparlamentare dei padri fondatori. Piuttosto si tratta di confrontare il loro travaglio con quelli di altre formazioni nate su movimenti di contestazione e poi trasformate in partiti di potere in un quadro democratico. Il caso più rilevante, in Europa occidentale, è quello del movimento guidato da Charles De Gaulle, che contestava la quarta repubblica e fondò la quinta. Quel movimento, erroneamente giudicato reazionario o addirittura para-fascista dalla sinistra europea, nonostante le credenziali indubitabili del suo fondatore, divenne partito liquidando le frange che in Algeria si ribellavano allo stato e costruendo un rapporto assai solido col ceto medio e l’alta borghesia imprenditoriale. È proprio su questo versante che nel Movimento 5 stelle si apre una frattura tra coloro che puntano a mantenere il carattere contestativo del movimento, come Alessandro Di Battista, e i ministeriali che cercano invece di presentarsi come forza stabilizzatrice. La situazione è complicata dal fatto che, a differenza per esempio dal movimento gaullista, quello grillino ha dato vita a un governo di coalizione, il che fa apparire ogni eventuale passo verso la stabilizzazione come un cedimento all’alleato temporaneo. Al di là delle soluzioni che si troveranno (o non si troveranno provocando il collasso della maggioranza) alle numerose questioni aperte, resta insoluta la questione del partito, cioè di una forma riconoscibile e stabile di meccanismo decisionale e di rapporto con l’elettorato attivo. La nomina di un «capo politico» e il ricorso a sistemi di selezione dei candidati e di confronto tra le opzioni politiche affi dato a un sistema informatico può sembrare un elemento di modernità, ma difficilmente può guidare una trasformazione da movimento a partito di potere (detto senza caratterizzazioni negative) che è indispensabile, che avviene nei fatti, ma senza una spiegazione e una visione corrispondenti.