SCONTRO AL CSM SULLA NOMINA
Lo scontro è durissimo, anche se i toni restano garbati. Ma la nomina di Gianni Melillo al vertice della Direzione nazionale antimafia vede fronteggiarsi due distinti modelli di procuratori e porta alla luce una divisione ideologica profonda in questo Csm che corre verso la sua naturale scadenza. L’attuale capo dei pm di Napoli, 61 anni, una carriera di tutto prestigio alle spalle, in cui spiccano i 9 anni trascorsi proprio nell’ufficio che andrà a dirigere, vince con 13 voti contro i 7 di Nicola Gratteri, che a Catanzaro è procuratore. Ma il voto rivela una concezione contrapposta della carriera, tra chi è convinto — come i magistrati Di Matteo e Ardita — che non si possa delegittimare con una bocciatura chi fa i processi antimafia, e vota per Gratteri; e chi ritiene che debbano contare di più i meriti frutto delle tante esperienze fatte, e quindi sta con Melillo.
Chi lo preferisce — i 5 togati della sinistra di Area, i 3 di Unicost, i 2 laici di M5S Benedetti e Donati, nonché i due capi della Cassazione Curzio e Salvi — fa una precisa scelta di campo. Privilegia l’abilità nel coordinare un ufficio come Napoli con 102 pm e 9 procuratori aggiunti. E sono le parole del primo presidente Pietro Curzio e del Pg Giovanni Salvi a sciogliere i dubbi di chi, come Unicost, in commissione s’era astenuto. La votazione per Melillo è secca. Nessun ballottaggio, come pure s’era temuto.
Ma chi parla di Gratteri scuote il plenum. L’ex pm Nino Di Matteo dice che «sono state acquisiste notizie circostanziate di possibili attentati poiché i mafiosi lo percepiscono come un pericolo concreto». Di Matteo che, finito il mandato al Csm tornerà proprio in via Giulia, sostiene che la “bocciatura” di Gratteri per i mafiosi sarebbe «una presa di distanza istituzionale». Per Sebastiano Ardita «un segnale devastante per il movimento culturale antimafia ». Per Giuseppe Marra, di Autonomia e indipendenza, va promosso perché «è il simbolo dei magistrati che non hanno collegamenti con la politica». Allusione al Melillo ex capo di gabinetto di Andrea Orlando in via Arenula. Alla fine i 4 togati di A&I, la corrente di Davigo, votano Gratteri, assieme ai due laici della Lega Cavanna e Basile, e al laico di M5S Gigliotti, docente di diritto a Catanzaro.
Né Di Matteo né Ardita nominano Falcone. Ma dietro le parole di Ardita — «È come se la storia non ci avesse insegnato nulla, la tradizione del Csm è deludere le aspirazioni di magistrati esposti nel contrasto alla mafia finendo per contribuire indirettamente al loro isolamento» — c’è il suo nome. E questo solleva la reazione indignata di Area che con Giuseppe Cascini, Alessandra Dal Moro eCiccio Zaccaro reagiscono con fermezza. «Non è un buon servizio all’opinione pubblica», per Zaccaro. Cascini bolla la tesi come «ingiusta e ingenerosa», ricorda di aver espresso solidarietà a Gratteri per gli attacchi ricevuti. «Un voto diverso — dice Cascini — non può essere inteso come una delegittimazione», né come «l’arretramento dello Stato contro le mafie».
La spaccatura resta, la partita si chiude. E la nomina del neo capo della Dna è subito operativa:Melillo potrà così partecipare, a Palermo, nelle prossime ore, al vertice dei Procuratori generali europei. Lui affida il suo ufficio a Rosa Volpe, prima donna a rivestire a Napoli un incarico di questo peso. Magistrata famosa per aver fatto condannare a 30 anni Danilo Restivo, l’assassino di Elisa Claps. Piovono gli auguri, per primo Piero Grasso con cui Melillo ha lavorato, poi le ministre Marta Cartabia e Luciana Lamorgese.