La regina della performance diventa in scena la regina della lirica In un’opera totale che arriverà anche in Italia l’anno prossimo E che, intanto, è diventata un libro fotografico speciale
di Renata Caragliano e Stella Cervasio
Le nubi si squarciano e in scena appare un letto che sembra galleggiare nel buio. È il letto di morte di una, cento, mille donne uccise da amori mal riposti. Ma tra quelle lenzuola c’è Marina Abramovi?, che si trasformerà poi in Maria Callas, anzi nelle 7 Deaths of Maria Callas”, come recita il titolo della prima opera lirica scritta, diretta e interpretata dall’artista serba.
Un’opera-performance dedicata a un mito della lirica e che diventa un faccia a faccia tra due grandi artiste.
Come la stessa Abramovi? scrive nel libro con foto di scena di Marco Anelli (Damiani editore): «Voglio reinterpretare le scene di morte di sette opere nelle quali Maria Callas è incorsa prima di me». Sette grandi voci interpretano altrettante eroine della lirica: Violetta ( Traviata) è Hera Hyesang Park; Tosca è Whitney Morrison; Desdemona ( Otello) Leah Hawkins; Butterfly (Gabriella Reyes), Carmen (Nadezhda Karyazina), Lucia di Lammermoor (Adela Zaharia) e Norma (Selene Zanetti). Mentre il protagonista maschile è l’attore Willem Dafoe. Il numero 7, come i dolori della Mater Dolorosa, in una transustanziazione laica da Maria a Marina, si ricollega alla storia delle donne, fatta spesso di successo e fama ma soprattutto di sofferenze e di sopraffazioni subite. I costumi sono di Riccardo Tisci. Lo spettacolo, presentato in anteprima mondiale lo scorso settembre alla Bayerische Staatsoper di Monaco, è coinvolgente e forte, trafigge l’anima come tutte le performance di Marina Abramovi?, che in Italia lavora con la galleria Lia Rumma.
L’opera doveva debuttare al San Carlo di Napoli all’inizio di dicembre, ma è stata rinviata per il Covid. «Sembra – dice l’artista dalla sua casa di campagna a due ore da New York – che ci vogliano aprire la prossima stagione. Ne sarei felicissima perché al San Carlo si è esibita la stessa Callas».
Come nasce quest’idea?
«È un progetto complesso che riguarda due soggetti: la Callas e me, oltre all’esperienza che abbiamo condiviso: morire per amore. Lei è morta davvero di crepacuore, il mio cuore invece è stato spezzato molte volte, non sono morta, ma ho sofferto. Ho questo tema nella mente e nel cuore da quasi trent’anni. Il finale nell’opera lirica prevede sempre la morte in scena».
Come ha costruito l’opera, fatta di specchi e di “mise en abîme”?
«Parto sempre dalla mia esperienza personale per andare poi oltre. Il progetto Callas è quello che mi ha preso più tempo. La prima idea risale al 1989. Inizialmente volevo farne un film, poi pensai a un libro e quindi a un’installazione video.
Alla fine il direttore dell’Opera di Monaco, Nikolaus Bachler, mi ha suggerito di farne un’opera e in effetti così ho potuto concepire e realizzare un’installazione multimediale con filmati, canto, performance riuniti insieme. Si tratta del lavoro più complesso che io abbia mai realizzato, la mia prima opera lirica. Per me davvero un debutto».
Si ha l’impressione che “Le 7 morti” segni un nuovo inizio nel mondo della lirica.
«Le opere liriche durano anche 4 o 5 ore e la mia solo un’ora e 31 minuti, perché si muore velocemente e perché le scene del trapasso nella lirica sono molto più brevi del resto. Al tempo stesso io smonto la struttura operistica classica per costruirne una nuova.
Penso che il mio progetto sia molto in linea con il pubblico delle nuove generazioni. L’opera lirica è come un dinosauro, ormai, in quanto forma d’arte molto old fashion ».
In che modo ha realizzato la “pars destruens” dell’opera?
«Non c’è più il coro, gli artisti non sono numerosi. C’è una sola cantante per volta sul palcoscenico che interpreta una donna in grado di rappresentarle tutte: la vichinga forte, quella fragile, la giapponese, la passionale come in Carmen…
Tutte in costume da governante.
Questa scelta viene compresa solo alla fine: le sette interpreti rappresentano un’unica persona che è Bruna, la governante di Maria Callas, a cui la Divina lasciò l’intero patrimonio perché fu la sola a restarle accanto fino alla fine. Prima che morisse provai a incontrarla, ma non ha voluto».
Qual è il ruolo dell’unico interprete maschile, Willem Dafoe?
«In scena vengo uccisa 7 volte dallo stesso uomo. E questo perché nella mente di Callas chi la trafiggeva era sempre Onassis. Una volta l’armatore greco, appena sposato con Jackie Kennedy, intervistato da un reporter della Bbc che gli chiedeva della Callas, guardando dritto in camera disse: “Non lotto per qualcosa che già possiedo”».
Per Marina e Maria, che camminano affiancate come se una fosse il doppelgänger dell’altra, prevale la fama dovuta alla potenza dell’opera o la popolarità del personaggio?
«Entrambe le cose, ma al tempo stesso sono rese immortali entrambe dalla voce della Callas.
Per qualunque interprete è difficile raccogliere il testimone. Ma ho mantenuto quella voce immortale in versione originale soltanto nel finale».
Dove si compie l’ottava morte, quella fuori scena. Di chi?
«Della Callas, ma è soltanto il corpo a morire, la sua voce non muore e non morirà».
Ognuna delle 7 morti è anticipata da un “intermezzo visivo” e musicale.
«Ho voluto un paesaggio con nuvole dell’artista Marco Brambilla, perché all’inizio io dipingevo nuvole».
Non è un fatto noto…
«Sono stata una pittrice prima di cominciare a fare performance. Le nuvole introducono il mood della scena, lo stato d’animo di ogni morte: al mattino, con il plenilunio, con il cielo in tempesta, con la pioggia e nell’aria infuocata.
Anticipano anche un testo scritto insieme a Petter Skavlan e recitato da me. Ho chiesto al musicista contemporaneo Marko Nikodijevi? di comporre l’ouverture e i brani per le scene dei cieli e anche per il finale. Ho pensato così di mettere insieme passato, presente e futuro.
Le donne soffrono in eterno per amore e in eterno muoiono in tanti modi: ho scelto ogni tipo di morte possibile, il buttarsi di sotto in Tosca (che vola da un grattacielo in un paesaggio urbano contemporaneo), l’accoltellamento in Carmen, la follia in Lucia e la tubercolosi nella
Traviata. L’unica cosa che ho modificato è Butterfly, che non muore per harakiri ma per contaminazione radioattiva. Il mio lavoro è sempre emozionale, tocca l’amore, la morte, il dolore, la sofferenza, la perdita, il tradimento: temi di cui è fatta l’arte».
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