Le presidenziali francesi e il voto utile a sinistra

Mélenchon risale nei sondaggi e potrebbe accedere al secondo turno, scalzando Marine Le Pen. Ma la “gauche” resta divisa come non mai

La guerra in Ucraina ha “sabotato”, per così dire, la campagna elettorale per le presidenziali francesi, nella quale un presidente in carica molto indaffarato si sta sottraendo ai confronti con gli altri candidati. Comunque, a tre settimane dal primo turno, alcuni eventi stanno delineando un quadro più chiaro: tra questi, l’imponente manifestazione parigina convocata dalla France insoumise e la presentazione del programma di Emmanuel Macron per un suo eventuale nuovo quinquennio all’Eliseo. Ormai, dando per scontata la presenza di Macron al ballottaggio, sono due i candidati in corsa per il secondo turno, Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon. Il leader della France insoumise è terzo nei sondaggi, al 13-14% e a circa quattro punti percentuali dietro la presidente del Rassemblement national, ma in costante sia pure lenta crescita, comunque molto distante dagli altri candidati di sinistra che navigano tra il 6-7% del verde Yannick Jadot, il 3-4% del comunista Fabien Roussel, l’1- 2% della socialista Hidalgo, per non parlare delle percentuali ancora più basse dei due candidati trotskisti. Questi dati sono il risultato del cammino lento ma costante della “tartaruga sagace” – come si è autodefinito Mélenchon – che, come nella favola di La Fontaine, alla fine riacchiappa le lepri che le corrono davanti.

Il corteo della France insoumise si è svolto sul percorso classico delle manifestazioni parigine, dalla piazza della Bastille a quella della République, con la partecipazione di oltre centomila attivisti e simpatizzanti. Si tratta della più grande manifestazione pubblica di questa campagna per le presidenziali, con una folla compatta, diversificata, entusiasta, un annuncio di quella “Unione popolare” che Mélenchon cerca di costruire. Gli altri candidati della gauche hanno evitato grandi raduni, sia a causa della pandemia sia perché non ci riuscirebbero – e anche per limitare le spese elettorali che saranno rimborsate unicamente a coloro che supereranno il 5% dei suffragi. Il verde Jadot, negli ultimi giorni, ha soppresso ben tre eventi previsti a Bordeaux, Tolosa e Poitiers, e vorrebbe parzialmente rifarsi con un meeting domenica 27 marzo a Parigi, dove sono previste seimila persone. Roussel non si avventura a tenere comizi in sale che superano i 1.500 posti. I socialisti, a loro volta, stanno limitando le spese a favore della sindaca di Parigi, che peraltro non suscita soverchi entusiasmi neanche tra i suoi stessi compagni di partito.

Alla fine della sfilata, si è tenuto l’intervento di Mélenchon, che ha innanzitutto dedicato l’iniziativa alla resistenza ucraina e ai coraggiosi dissidenti russi che si oppongono nel loro Paese alla guerra e alla dittatura. In mezzo alla piazza, la statua della Repubblica rivestita con un panno giallo-blu contemplava la folla. Il candidato ha poi riaffermato la sua tesi sul non allineamento: “Il non allineamento non è la neutralità. Il non allineamento è l’alter-mondialismo”. Subito dopo, è partito all’attacco del presidente della Repubblica sulle questioni sociali, il suo cavallo di battaglia: “Votate Macron e avrete la pensione a 65 anni (oggi in Francia a 62), oppure votate Mélenchon e avrete la pensione a 60 anni”. Ha proposto lo Smic (il salario minimo) a 1.400 euro fin dal mese di maggio, e un tetto ai prezzi dei generi di prima necessità e dei carburanti. Ha difeso la scuola pubblica, laica, repubblicana, accessibile a tutti, anche ai livelli universitari, contro “la distruzione della scuola abbandonata alle logiche mercantili”, con un richiamo appassionato alle tesi del socialista storico Jean Jaurés, da sempre sua fonte di ispirazione. Un programma sociale ben delineato in L’Avenir en commun (“L’Avvenire in comune”) redatto collettivamente con i militanti nelle annuali “università d’estate” e limato, negli ultimi cinque mesi, con l’apporto di esperti: un programma che ha avuto il plauso, per la sua serietà, anche da parte del presidente del Medef, la Confindustria francese, Geoffroy Roux de Bézieux, il quale tuttavia ha eccepito che nel programma ci sia troppo dirigismo nei confronti delle imprese.

Secondo Mélenchon il presidente in carica è un finto ambientalista, e ha irriso i membri del governo che ora parlano di “pianificazione ecologica”, come proposto dal programma della France insoumise, invitandoli a programmare invece la loro fuoriuscita dall’esecutivo. Ha ribadito che il pericolo climatico è imminente: “L’ordine mondiale sta per cambiare. Di molto. Fra dieci anni ciò che avete sotto gli occhi sarà profondamente modificato. Il cambiamento climatico avrà fatto sentire i suoi effetti. Nel mondo milioni, forse miliardi di persone dovranno migrare”.

Un’altra polemica con Macron è stata quella sul suo quinquennio di “incredibile deriva autoritaria” emersa nella gestione della crisi dei gilets jaunes: “2.500 feriti, 32 manifestanti a cui è stato cavato un occhio, cinque mani staccate dalle granate, un’anziana uccisa”, una repressione frutto di una torsione politica e istituzionale della già problematica “monarchia presidenziale”, instaurata con la Quinta Repubblica. Per uscirne, il candidato ha proposto due misure: un’amnistia generalizzata per i gilets jaunes condannati, il rimborso di tutte le multe loro comminate (“si tratta di ristabilire il diritto a manifestare”) e un’assemblea costituente per dare vita a una Sesta Repubblica di stampo parlamentare. Per chiudere, due messaggi rivolti l’uno agli elettori di sinistra, l’altro a chi è tentato dall’astensionismo. Ai primi l’invito, al di là delle beghe degli stati maggiori, a fare l’unità dal basso votando per il candidato meglio piazzato per accedere al secondo turno, e per portare al confronto con il presidente uscente le idee e i programmi dei progressisti. Ricordando poi, a chi sia tentato di astenersi, che ognuno è responsabile del risultato: “Questo voto è un referendum sociale, siete avvisati, con un modesto pezzo di carta, potete cambiare la direzione di marcia di questo Paese, nessuno si può chiamare fuori”. L’incontro si è concluso, come da tradizione, al canto della Marsigliese e con l’inno dei gilets jaunesNous sommes là, même si Macron ne veut pas (“Siamo qui anche se Macron non vuole”).

Il programma neoliberista di Macron

L’antitesi del progetto di Mélenchon è il manifesto dai connotati neoliberisti di Macron, che con le sue proposte invade il territorio della destra e dell’estrema destra, fino a essere accusato dalla candidata dei gollisti, Valérie Pécresse, di avere fatto un copia e incolla con il suo programma.

Prima però di dare un’occhiata alle proposte del presidente uscente, sarà opportuno ricordare alcune delle promesse non mantenute dell’allora candidato alle presidenziali del 2017 e alcune delle sue prodezze antipopolari. La soppressione dell’imposta sulle ricchezze e i tagli all’indennità di disoccupazione, il tentativo di innalzare l’età pensionabile, i favori alle imprese (240 miliardi distribuiti per salvaguardarle e farsi carico di una parte dei loro costi), gli hanno valso il titolo di “presidente dei ricchi”. Il glifosato, a causa delle pressioni della lobby delle grandi aziende agricole, non è stato interdetto, e non è stata nemmeno mantenuta la promessa di dare un tetto a tutti i senza fissa dimora che sono tuttora circa trecentomila in Francia. Così come non è stata allargata, come promesso, la copertura dell’indennità di disoccupazione. In piena pandemia, da fine 2016 a fine 2020, sono stati soppressi trentaquattro ospedali e tagliati diciassettemila posti letto. L’impegno relativo all’introduzione di una quota di proporzionale nelle elezioni legislative non è stato neanche minimamente preso in esame dall’Assemblea nazionale.

Macron si è rammaricato, presentando il suo nuovo programma, di non avere portato a termine la sua “riforma” delle pensioni (che aveva suscitato una forte mobilitazione sociale) e quella delle istituzioni, senza dire una parola sul fallimento della Convenzione per il clima da lui convocata e di cui, in seguito, ha snobbato le proposte. La riforma delle pensioni sarà una priorità del nuovo quinquennio, una riforma che prevede l’innalzamento progressivo dell’età per accedere al pensionamento fino ai 65 anni. Così come la riforma del “reddito di solidarietà attiva” (Rsa), i cui beneficiari dovranno dedicare tra le quindici e le venti ore a settimana a un’attività rivolta all’inserimento nel mondo del lavoro, senza prendere in considerazione le persone che tale attività non saranno in grado di svolgere. Il presidente minaccia di “proseguire la modernizzazione del codice del lavoro avviata con le ordinanze del 2017”, il modello a cui si è ispirato Matteo Renzi per il jobs act nostrano. Per gli insegnanti aumenti, sì, ma da collegare a nuove prestazioni lavorative, mentre gli stabilimenti scolastici avranno maggiore autonomia e i presidi potranno reclutare i professori, istituto per istituto, sulla base del loro profilo professionale. Non mancano gli interventi a favore del capitale, come la diminuzione delle imposte sulla produzione per un importo annuale di altri 7,5 miliardi che si aggiungono ai dieci miliardi annuali offerti dal 2020; non è assente neanche l’alleggerimento delle tasse sulle successioni.

Per quanto concerne l’immigrazione, si prevede una riorganizzazione del diritto d’asilo e dei permessi di soggiorno, che saranno concessi in termini “molto più ristrettivi” e con il rafforzamento dell’obbligo di abbandonare il territorio francese in caso di rifiuto. Sempre per sedurre l’elettorato di destra, sono richiamate “la memoria e la realtà intangibile della Francia” (incluso il colonialismo?) che si devono “conoscere, amare e condividere”; mentre la società francese non cessa in realtà di evolvere e di ibridarsi, fenomeno tipico delle società moderne richiamato nei discorsi di Mélenchon con il termine di “creolizzazione”, un’espressione che deriva dall’opera dello scrittore antillano Edouard Glissant.

In sintesi, la distruzione dei servizi pubblici fondamentali, una controrivoluzione fiscale e sociale, una ridistribuzione a rovescio, un riecheggiare le peggiori politiche liberiste degli anni Ottanta e Novanta, nel pieno di una guerra che esaspera la crescita dell’inflazione, la quale taglieggia pensioni e bassi salari. Alla luce di questa impostazione, all’Eliseo si teme l’eventualità di un secondo turno nel quale il competitore sia Mélenchon. Non tanto perché si sia preoccupati per l’esito finale del ballottaggio, ma perché la narrazione di Macron, impostata al fine di contendere l’elettorato alla destra e all’estrema destra, sarebbe destabilizzata dal confronto con il leader degli insoumis, che lo metterebbe in una posizione scomoda, lui che è stato accusato di avere favorito i capitalisti e i ricchi con i provvedimenti del suo quinquennio.

Voto “utile” o voto “futile”?

Gli altri candidati di sinistra non sono d’accordo: al richiamo al “voto utile” contrappongono la battuta sul “voto futile”, cioè sostanzialmente inutile, cercando di rimanere in corsa, sia pure con molte difficoltà, e rispondendo alle lusinghe unitarie con due argomenti. Il primo fa riferimento alle poche possibilità del leader della France insoumise di vincere il ballottaggio con Macron, obiezione alla quale questi risponde valorizzando la sua antinomia con il presidente in carica, contrasto che servirebbe a “purificare l’atmosfera”: invece di avere un dibattito destra/estrema destra, si avrebbe un confronto sinistra/destra sulla ridistribuzione della ricchezza e non sul razzismo e i fantasmi migratori. L’altro argomento, su cui insistono Hidalgo e Jadot, concerne il suo essere “amico di Putin” e, in genere, di essere compiacente con i dittatori come quelli del Venezuela e della Corea del Nord. Il ragionamento non è particolarmente efficace, considerate le posizioni ribadite da Mélenchon sulla guerra in Ucraina, e soprattutto la preoccupazione dei ceti popolari per le loro condizioni di vita: viene esposto, in particolare dalla sindaca di Parigi, in termini spesso offensivi e volgari. La vera questione concerne il tema dell’appartenenza o meno alla Nato, e ha, come sottofondo, la lotta per l’egemonia nella sinistra francese, con il partito socialista che lotta disperatamente per la sopravvivenza. L’elettorato socialista è stato, infatti, vampirizzato dai verdi, e in precedenza da Macron. Tutti i leader della gauche hanno inoltre gli occhi puntati anche sulle legislative che si terranno a giugno: in quest’ottica, molti di loro vogliono innalzare un cordone sanitario attorno al tribuno della sinistra francese.

Mélenchon, nel caso di una qualificazione al secondo turno e di un’eventuale vittoria finale, afferma di volere aprire le porte a tutti quelli che vorranno governare con lui, in particolare ai comunisti (malgrado il dissenso sul nucleare, al quale il Pcf è favorevole), sottolineando come “altri nella sinistra tradizionale non hanno elaborato un granché il loro programma. E se non l’hanno approfondito è perché sono ambigui nei confronti di Macron”; osservazione, questa, rivolta ai verdi e ai socialisti.

La fine di questa campagna presidenziale si avvicina, e gli organizzatori degli eventi per Mélenchon si rifaranno alla tecnologia più sofisticata per colpire gli elettori. Martedì 5 aprile, il leader della France insoumise terrà contemporaneamente comizi in tredici città diverse. Fisicamente sarà a Lille, ma la sua presenza altrove sarà garantita da dodici ologrammi. La domenica successiva si vota.

 

 

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