Che cos’hanno in comune un cantautore di straordinario successo (che dal 2 luglio tornerà ad affollare le spiagge con il Beach Party) e un raffinato editore, Nicola Crocetti (che con la sua rivista ha sfidato il mercato e il pensiero dominante)? Molto, moltissimo… Per esempio una popolare idea di cultura (gente come Euripide e Sofocle già partecipava ai talent) e una spudorata passione per le liriche che li ha portati ora a realizzare un’antologia di 115 componimenti (Pasolini, Alfieri, Kae Tempest, Kazantzakis…). Come una jam session.
Cristina Taglietti
I due «bagnini per le anime» non potrebbero essere più diversi tra loro: Jovanotti indossa un cappello, pantaloni larghi, collane colorate al collo; Nicola Crocetti ha capelli candidi perfettamente pettinati e un sobrio pullover blu. La popstar che la poesia la insegue da sempre in un consapevole percorso di crescita personale e l’editore di nicchia, abituato a fare ogni sforzo per strappare qualche lettore in più per i versi di autori spesso sconosciuti. Jovanotti travolge con l’entusiamo, Crocetti parla a voce bassa che si stenta a sentire: insieme hanno curato un libro, Poesie da spiaggia, che raccoglie oltre cento componimenti di autori da ogni luogo e di ogni epoca. A «la Lettura» raccontano questo accoppiamento che, sulla carta, potrebbe apparire poco giudizioso.
La definizione «bagnini per le anime» l’ha inventata Jovanotti naturalmente…
JOVANOTTI — È un gioco, ma io inseguo sempre gli slogan, è un po’ la mia formazione anni Ottanta. Cerco la frase che possa stare bene su una maglietta. Ho anche scritto sui social che Crocetti sta alla poesia come Marvel al fumetto. Il bagnino comunque è una figura amichevole e accogliente, non è una forza dell’ordine, non ti impone niente.
NICOLA CROCETTI — E all’occorrenza ti salva.
JOVANOTTI — La poesia ha questo potere salvifico, è capace di generare la meraviglia.
«Poesie da spiaggia» è una grande operazione pop.
JOVANOTTI — Se può essere uno stratagemma per diffondere la poesia va benissimo, perché poi l’antologia è tutt’altro che naïve, è profonda, come il mare appunto, con una splendida superficie, piena di vita. Non vedo l’ora di vederla tra le mani di più persone possibile, sono sicuro che gli stiamo facendo un regalo, un dono. Bisogna leggere una pagina alla volta, magari aprendo il libro a caso. La poesia non è una forma di intrattenimento, non è un prodotto. Tu sai che cos’è la poesia, Nicola?
NICOLA CROCETTI — Ci sono centinaia di definizioni. Una che mi piace molto è di un poeta del Seicento: «Lampi di luce al cieco mondo».
JOVANOTTI — A me piace Rimbaud secondo cui i poeti sono «ladri di fuoco».
NICOLA CROCETTI — Per Ghiannis Ritsos sono gli «inconsolabili consolatori del mondo».
JOVANOTTI — (guarda Crocetti) Quest’uomo ha tradotto Kazantzakis. È una delle molle da cui è scaturito il libro. Ho conosciuto Nicola leggendo poesia, spesso ho comprato i suoi libri a scatola chiusa, semplicemente perché erano Crocetti, sulla fiducia, per il fatto che fosse stato il primo, per esempio, a pubblicare Pierluigi Cappello, uno dei grandi poeti della mia generazione. Sono quei passaggi che creano fiducia in un editore. Della sua traduzione dell’Odissea si parlava da anni. Anche «la Lettura» ne aveva anticipato alcuni passaggi mesi e mesi prima. Io ero rimasto folgorato da Zorba il greco che associavo al film. Lo avevo letto nella traduzione di Crocetti, sottolineandolo tutto. Per me è uno tra i libri più belli del Novecento insieme a Cent’anni di solitudine. Cioè quei libri sui quali torni continuamente, come Rayuela di Julio Cortázar. I testi sacri, li chiamo io. Ognuno ha i suoi. Quando è uscita finalmente la sua traduzione dell’Odissea di Kazantzakis ero in un momento complicato della mia vita. Mi ha aiutato moltissimo: mi dava forza, mi teneva compagnia, mi portava lontano. Ho passato mesi leggendo un canto al giorno e poi rileggendolo il giorno dopo. Alla fine di quel percorso, quando il cielo cominciava a riaprirsi e io stavo progettando la mia avventura nelle spiagge, è nata l’idea del libro.
Il tour nelle spiagge, il Jova Beach Party, due milioni di follower su Instagram, tre milioni su Twitter: ci sono tutte le premesse per allargare il pubblico della poesia.
JOVANOTTI — Ci sono un sacco di case editrici che mi chiedono di scrivere qualsiasi cosa, ma questo esula da tutto ciò: non è un mio libro, ma un libro di tutti. Non sono testi miei e quindi lo trovo bellissimo. Farò di tutto per promuoverlo; se fosse mio avrei un po’ di imbarazzo, e invece così sono proprio svergognato, andrei a venderlo porta a porta. Lo vedo come una piazza, puoi anche risalire a ritroso tutte le strade che ti hanno condotto fino a lì. Io stesso non conoscevo alcuni poeti , me li ha fatti scoprire Nicola. È come con la musica, quando senti una canzone che ti piace e poi ti trovi a esplorare un repertorio, un mondo.
Non c’è un percorso particolare, le poesie si susseguono in ordine sparso, da Pasolini ad Alfieri, da Mandel’stam a Danilo Dolci.
JOVANOTTI — È una sorta di improvvisazione jazz, una jam session. Oggi abbiamo il vantaggio di avere a disposizione la biblioteca infinita della rete. Scrivi un verso che ti viene in mente e trovi tutta la poesia. E proprio perché la rete ti dà una disponibilità infinita di materiale, l’idea che ci sia qualcuno che crea linee di senso è importante. Lo è nella musica, ma può esserlo in tutti gli ambiti. Io oggi entro in uno studio di registrazione, accendo il computer e ho tutti i suoni, tutte le orchestre del mondo a disposizione. Nel libro la scelta doveva essere limitata, quindi era una bella sfida.
NICOLA CROCETTI — Quando il direttore editoriale di Feltrinelli, Gianluca Foglia, mi ha parlato dell’idea di Lorenzo, era un po’ timoroso che io non accettassi; invece non solo ho accettato ma l’ho fatto con entusiasmo. Lo conosco da quando era ragazzino. Non ti dico di essere un tuo fan sfegatato, ma…
JOVANOTTI — (ride) Me lo auguro, vorrebbe dire che ho sbagliato qualcosa.
NICOLA CROCETTI — Però ti ho dato assolutamente prova di conoscere le tue canzoni… Ero rimasto colpito moltissimo quando hai fatto il giro sulle Ande in bicicletta e alla fine…
JOVANOTTI — Non voglio cambiare pianeta era il titolo del programma, che è un verso del componimento di Neruda che chiude il libro.
NICOLA CROCETTI — Cinquemila chilometri in bicicletta con la camera girata a volte verso di sé, altre volte verso i paesaggi stupendi delle Ande. Cazzeggiava, se si può dire, e alla fine leggeva dei versi. Poi sui social metteva spesso like alle nostre poesie, quando usciva un nuovo libro diceva: questo lo voglio comprare, oppure l’ho comprato. Insomma, senza conoscerci eravamo in qualche modo fan l’uno dell’altro. Il resto è venuto da solo. Si è deciso che dovesse essere un libro di non più di 200 pagine, senza testo a fronte. Dovevamo scegliere 50 poesie ciascuno, invece sono state un po’ di più. E la cosa sorprendente è stata che quasi la metà delle sue proposte coincideva con le mie. Quando ci siamo scambiati il primo elenco abbiamo notato che spesso le poesie erano le medesime o che i poeti erano gli stessi, che c’era una sintonia incredibile…
La poesia ha fama di non vendere…
NICOLA CROCETTI — Ma perché dovrebbe vendere? Nessuno ne parla. Lo fanno sporadicamente i giornali, in libreria non la trovi, oppure è negli scaffali più nascosti.
JOVANOTTI — Non pensi che questo sia il suo destino naturale?
NICOLA CROCETTI — No. Nel lungo percorso che ho fatto mi sono accorto che quando riesci a fare arrivare la poesia, anche in modo surrettizio, funziona. Ad esempio al cinema: L’attimo fuggente, Quattro matrimoni e un funerale. Oppure Jovanotti che va al festival di Sanremo e legge, anzi recita, i versi di Mariangela Gualtieri e il giorno dopo i suoi libri sono esauriti ovunque. Non se ne deve parlare qua e là, se ne deve parlare in televisione, in prima serata e non alle due di notte o alle due di pomeriggio quando la gente lavora. Non ne devono parlare soltanto i soloni, i professori, gli accademici che usano un linguaggio incomprensibile, va letta da chi lo sa fare. Purtroppo sono pochissimi gli attori che ne sono capaci: uno che mi viene in mente è Luigi Lo Cascio. La poesia è amata, bisogna semplicemente farla arrivare. Per questo mi ha entusiasmato questa proposta di Lorenzo.
Con la rivista «Poesia» Crocetti ha cercato di diffonderla…
NICOLA CROCETTI — Ho portato la poesia in edicola e, cosa che non aveva mai fatto nessuno, con le foto dei poeti in copertina. Nei primi anni Novanta passavi davanti alle edicole e vedevi le foto degli uomini potenti, dei banchieri, dei politici, dei ladri, delle starlette del momento e in mezzo a questo oceano c’erano le facce dei poeti, spesso brutti. A volte erano gallerie di mostri, però ha funzionato.
C’è anche questa idea che tutto ciò che è popolare non è di qualità.
NICOLA CROCETTI — Ma io sono di origine greca: nel V secolo a.C. gente come Euripide e Sofocle faceva le gare di poesia davanti al popolo e il popolo votava.
JOVANOTTI — In questo libro c’è una poesia di Kae Tempest, rapper di oggi. Anche i suoi dischi sono belli. La poesia si confonde spesso con la canzone.
NICOLA CROCETTI — È una vecchia storia.
JOVANOTTI — Però io che faccio canzoni so che la poesia è un’altra cosa. Ci sono belle canzoni con bei passaggi, belle frasi, ma non sono poesie. Esiste una zona grigia in cui le due espressioni convivono, ma nella maggior parte dei casi c’è una distanza.
Di certi cantautori si dice che sono poeti.
JOVANOTTI — Quando Bob Dylan prende il premio Nobel per la Letteratura, probabilmente si riconosce questo. Alcuni suoi testi sono indubbiamente molto belli, ma faccio fatica a scioglierli dalla sua voce, dal suo corpo, dalla sua espressività. Quando sento una cover di Dylan penso: questo è un bel pezzo, poi lo ascolto cantato da lui e vola altissimo. Io ogni volta che sento puzza di poetismo, ogni volta che capisco che sto facendo il poetastro in qualcosa che scrivo, mi fermo, lo tolgo. La poesia non ci deve finire nelle canzoni, se non per sbaglio.
NICOLA CROCETTI — Lorenzo non s’è mai piccato di essere poeta, ma, a differenza di molti, la poesia la conosce bene, la frequenta. Ho incontrato pochissime persone che hanno una cultura e una passione come la sua.
Pierluigi Cappello faceva aeromodellismo e diceva che la poesia ha un aspetto creativo, la folgorazione, ma poi c’è un lavoro meticoloso, preciso come costruire modellini. Questo vale anche per la canzone?
JOVANOTTI — Sicuramente anche lì c’è un procedimento di lavorazione artigianale che a volte passa per una folgorazione e altre volte ci metti mesi, o anni, e poi improvvisamente trovi la quadra. Però è un oggetto con una complessità diversa, perché ha un’altra funzione. La poesia ha un’essenzialità legata alla parola nuda. Ecco, una cosa che mi è rimasta impressa come una specie di sogno, perché in realtà non ricordo nemmeno se l’ho visto veramente da bambino o se l’ho rivisto dopo, è Giuseppe Ungaretti su Raiuno che prima dello sceneggiato dell’Odissea legge i versi di Omero.
NICOLA CROCETTI — Strabuzzando gli occhi…
JOVANOTTI — Con il cappello in testa, con quella voce cavernosa. Mi faceva impazzire. L’idea che una canzone di Sanremo possa avere un verso poetico ci sta, però poi se leggi Ezra Pound o i lirici greci è tutta un’altra cosa. Non voglio neanche pensare che esista un pubblico che va portato verso la poesia, non ho questa presunzione. Io sono quel pubblico lì, sono uno che scopre continuamente cose anche grazie a persone che me le fanno scoprire, grazie un editore che mi mette in condizione di leggerle. Per questo sono importanti gli editori, anche quelli piccoli, che poi è un aggettivo sbagliato, diciamo quelli che si prendono cura di un piccolo campo della letteratura e creano un suono intorno a sé. Poi certo mi interesserebbe anche sapere che cosa pensano, aprendo questo libro, le persone che frequentano la letteratura.
NICOLA CROCETTI — Te lo dico io: resteranno sorpresi. Ce ne siamo resi conto quando tu lo hai accennato a Che tempo che fa. Sulla pagina Facebook di Crocetti editore i puristi si sono scatenati: ci mancava questa, Crocetti si è venduto. Perché non avevano capito niente, sono sicuro che si ricrederanno.
JOVANOTTI — Guarda che io lo capisco, perché nella musica è un po’ la stessa cosa. Pensi di essere dentro un club esclusivo e quando vedi che in quel club qualcuno lascia le porte aperte, ti girano un po’ le scatole. È un atteggiamento banale ed è esattamente il meccanismo che si vuole cercare di rompere.
NICOLA CROCETTI — Negli anni Cinquanta uscivano 45 giri di poesie lette da Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi, Arnoldo Foà; poi questa cosa s’è persa. Invece in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Russia, ma anche in Grecia, questa abitudine c’è ancora.
JOVANOTTI — Oggi c’è molto YouTube, dove le poesie vengono visualizzate in maniera spesso terribile, edulcorata: il mare, il fiore… Io però ho esperienza del fatto che quando sono forti, le poesie possono passare dappertutto: sulla carta dei cioccolatini, sui muri. Ci puoi fare qualsiasi cosa: le tagli, le spezzi, le stiri. Se sono grandi resistono a tutto. Una notte m’è capitato di vedere in televisione un documentario sul festival di Castelporziano dove successe un casino.
«Ostia dei Poeti», il film documentario di Andrea Andermann sul Festival Internazionale dei poeti: Franco Cordelli, Simone Carella e Ulisse Benedetti convocarono decine di autori, italiani e stranieri.
NICOLA CROCETTI — Era il 1979, nelle tre serate del festival arrivarono autori italiani, europei, americani e russi. C’erano Allen Ginsberg, William Borroughs, Gregory Corso, Evgenji Evtuscenko…
JOVANOTTI — Mi ha colpito molto: era pieno di ragazzi che erano lì per ascoltare poesia. Mi è piaciuta un sacco quella cosa, qualcuno me ne aveva parlato ma non avevo mai visto le immagini. Un’altra volta vidi Klaus Kinski che recitava una poesia in una maniera oltraggiosa, come se fosse un Gesù arrabbiato, di fronte a un grande pubblico in Germania e sembrava una rockstar.
NICOLA CROCETTI — A un certo punto andò a Parigi e fu ricoverato in un istituto psichiatrico, quando lo dimisero lasciò lì una valigetta in cui, molti anni dopo, fu rinvenuto un quadernetto dove aveva scritto una serie di poesie che mi proposero di pubblicare. Si intitolava Febbre, l’avrei pubblicato molto volentieri, ma gli eredi chiedevano una cifra per noi insostenibile. Quindi ne pubblicai una selezione sulla mia rivista.
Di solito il primo approccio con la poesia, non sempre felice, è a scuola.
NICOLA CROCETTI — Anche se studiare a memoria è utile, ti rimane dentro e a distanza di anni ti ritorna. Allora capisci cose che a suo tempo non avevi capito.
JOVANOTTI — Credo che la questione della scuola abbia molto a che fare con la fortuna di incontrare qualcuno che la poesia te la fa amare. Non c’è riforma possibile che valga quanto questo. Io, per esempio, avevo una professoressa di italiano molto brava che però stava soltanto su Dante. Su quello era strepitosa, ci dava tutte le possibili letture, anche quella psicoanalitica. Poi alcune cose nascono in opposizione. Per esempio ricordo che una volta, quand’ero piccolo, mio padre disse: a me la poesia non piace. Aveva detto la stessa cosa sui ballerini di Raffaella Carrà e ogni volta che qualcuno dice: a me questa cosa non piace, mi fa scattare l’interesse. Anche se io poi ho cominciato a scrivere rime perché volevo stare dentro la musica, le parole erano solo uno strumento. Ma quando ti ci trovi dentro cominci a nutrirti, cerchi la poesia nelle cose. Al liceo ho avuto un grande flash quando un professore pubblicò un manifestino in corridoio invitando gli studenti a partecipare a un seminario futurista. La cosa mi piacque molto, mi iscrissi senza sapere niente e fu un anno bellissimo. Mi ha cambiato la vita perché lì ho incontrato la poesia in modo prepotente. Era qualcosa che suonava: Marinetti, Palazzeschi, le poesie che ballavano sulla pagina. Non sono più tornato indietro: ho iniziato ad associare la poesia al corpo, al movimento, alla voce. Mi sono appassionato a esperienze più popolari, come Gigi Proietti che recitava i versi e mi piaceva moltissimo, stavo addirittura per iscrivermi alla sua scuola. Poi ho cominciato a fare il dj e ho capito che lì mi bastava, andavo bene così, quindi ho preso quella strada. Sono tutti frammenti, ma alla fine il mio mestiere è sempre quello di ricomporli. Anche questo è un libro di frammenti delle grandi opere di ogni poeta. Ci sono un sacco di cose da scoprire, pensiamo per esempio a Derek Walcott o a Wisława Szymborska. Lei è stata importante per la poesia vero?
NICOLA CROCETTI — Importantissima. E la cosa curiosa è che affascina soprattutto le donne. Si può dire che abbia una poesia femminista nel senso migliore del termine, piena di ironia, accattivante, folgorante.
Un premio Nobel ben dato?
NICOLA CROCETTI — Se guardiamo la storia dei Nobel, non dico che la maggior parte sono dati male, ma spesso sono dimenticati o non dicono più niente oggi.
Quali sono i poeti che oggi vi sentireste di consigliare di scoprire o di riscoprire ?
JOVANOTTI — È impossibile consigliare un libro, è un po’ come consigliare una fidanzata. È anche difficile dare una motivazione perché dipende molto da come un poeta risuona dentro di te. Nei libri ci caschi, ti innamori, le dinamiche sono misteriose. Álvaro Mutis, per esempio: ci torno, lo leggo, lo rileggo, rammento versi, mi fa vedere luoghi. È anche una tra le ragioni per cui mi sono messo a studiare lo spagnolo. Lui e il suo amico Gabriel García Márquez. Adoro leggerli in spagnolo. E comunque in Italia abbiamo una traduttrice bravissima, Ilide Carmignani, che ha dato la voce italiana a Roberto Bolaño, altro autore che amo, anche per le poesie. Mi sento di fare i nomi di poeti che consiglierei di scoprire. Perché è chiaro che Ariosto è il Tarantino della poesia, cinquecento anni prima.
NICOLA CROCETTI — Infatti hai voluto mettere un suo brano tra le Poesie da spiaggia.
JOVANOTTI — Tra i contemporanei Pierluigi Cappello mi piace da pazzi, è incredibile, usa pochissimi aggettivi, quasi niente. L’aggettivo è pericoloso, bisogna saperlo usare. È facile: posso fare una lista di cento pagine per descrivere le labbra di una donna, però stare sulle cose lo sanno fare solo i grandissimi. Con Cappello ho avuto un’amicizia, anche se ci siamo sempre sentiti solo al telefono. Poi consiglierei a tutti Mariangela Gualtieri, perché la sua è una poesia da palcoscenico, mi viene da leggerla a voce alta, anche da solo. Non sempre mi accade, ma quando accade significa che sta succedendo qualcosa tra me e la pagina.
NICOLA CROCETTI — Infatti lei è una performer straordinaria.
JOVANOTTI — E poi Kazantzakis. È riuscito veramente a proseguire l’Odissea. C’è un momento in cui ti perdi, non sembra possibile che l’abbia scritta un poeta nel Novecento, non sei più lì. Sei con Omero, anzi con Ulisse. È un miracolo. Ho letto che doveva vincere il Nobel nel 1957 e invece lo diedero a Camus, altro scrittore importante per me, e Camus gli scrisse un telegramma. È vera questa cosa?
NICOLA CROCETTI — È vera. Si trova nel suo archivio. Camus scriveva: sono molto felice di avere ricevuto questo premio, ma voi l’avreste meritato cento volte di più.
JOVANOTTI — Poi io sono un grande fan di Aldo Nove, dall’inizio. In Poesie da spiaggia ci sono alcuni suoi versi su Maria che avevo letto con lui in pubblico e mi colpirono molto all’epoca, come tutto il poemetto. Anche perché a me piace la poesia religiosa. Jacopone da Todi per esempio, tutta la poesia delle lodi. Il cantico delle creature è stato fondamentale per me: è una canzone. Io me la immagino proprio con la scala dorica, con quella melodia. Poi io sono di Cortona, dove c’è il più antico Laudario, depositato nella Biblioteca del Comune e dell’Accademia Etrusca. Da bambini avevamo un lp che ci portavamo dietro ogni volta che andavamo da Cortona a Roma, dove abitavamo. Era un modo per portarsi un pezzo di casa. Insomma, sono andato a scoprire questo laudario, che poi sono sempre canzoni d’amore mascherate: si canta la Madonna per cantare la donna, l’amore, il sesso, la carne, il peccato. La poesia religiosa è sempre un pretesto per parlare della materia, per legarsi alle cose terrene e dare loro un senso. Nicola, dovremmo fare una compilation di poesie religiose pazzesche, San Giovanni della Croce per esempio.
NICOLA CROCETTI — Oggi non si scrive più poesia religiosa e Aldo Nove in questo è straordinario. Io comunque sono di origine greca e per me i lirici greci sono una pietra miliare della poesia mondiale, la base di tutto. E poi Torquato Tasso: il Canzoniere è uno dei capolavori massimi della letteratura italiana.
JOVANOTTI — Sai che devo andare a prenderlo? Su Tasso sono rimasto al liceo.
NICOLA CROCETTI — Ha poesie d’amore straordinarie. Aveva una componente di follia. Certo, non si potrebbe non nominare Leopardi, ma forse è un po’ scontato. E poi Pascoli, le poesie latine in particolare, di cui ci sono molte traduzioni. Lui era un grandissimo latinista. E sicuramente Dino Campana, perché era matto e quando avevo vent’anni mi aveva colpito la storia del manoscritto smarrito dei Canti orfici. Campana era andato a piedi da Marradi, sull’Appennino tosco-emiliano, a Firenze, da quelli che allora erano i due numi della poesia italiana, Giovanni Papini e Ardengo Soffici che dirigevano «Lacerba». Lui si presentava come uno straccione, tutti lo dileggiavano, ma loro non erano due sprovveduti e capirono che c’era sostanza. In quei giorni Soffici faceva un trasloco da Firenze a una casa di campagna e il manoscritto finì in un baule con tutti gli altri libri. Lui per anni continuò a scrivere lettere: ridatemi il mio manoscritto, se vengo costì con un coltello ben affilato vi taglio la gola. Si intitolava Il più lungo giorno, Campana si mise a riscriverlo facendo appello alla memoria e ai brogliacci che aveva conservato. Per fortuna lo fece, perché la prima versione che fu ritrovata nel 1972 e pubblicata con l’avallo di Mario Luzi, non era all’altezza.
JOVANOTTI — Ho un cd con Carmelo Bene che lo recita.
NICOLA CROCETTI — Sì, fu lui a riscoprirlo. Poi assolutamente consiglierei di leggere Ghiannis Ritsos: Quarta dimensione è una serie di monologhi drammatici scritti in campo di concentramento. Hanno come titolo il nome di un personaggio della mitologia: Agamennone, Oreste, Ismene e via dicendo. Fingendo di scrivere del mito, in realtà scriveva del suo tempo. Si prestano anche a essere recitati in teatro perché lui da giovane aveva fatto il ballerino, il cantante, il pianista. Era un dj ante litteram.
JOVANOTTI — Si vede che ci teneva alla figura, a come si presentava…
NICOLA CROCETTI — Non posso non metterci Kazantzakis. Ho impiegato sette anni per tradurlo, ma in realtà ce l’avevo dentro da decenni. È un’arca di Noe di parole greche popolari che rischiavano di scomparire. Lui, insieme a Tolkien, ha reinventato il fantasy.
JOVANOTTI — Sì, con tutti i personaggi che incontra: la Morte, Gesù, Buddha, Don Chisciotte. E poi il suo equipaggio fantastico, il fatto che vada in Africa. A volte ho pianto leggendolo, non vedevo l’ora di aprirlo. Ora sono curioso di riprenderlo a distanza di tempo, in un’altra disposizione d’animo e vedere che effetto mi fa.
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