La moglieI viaggi, le presentazioni, gli anni trascorsi insieme nel segno dell’ironia, la decisione di non convivere. «Fu Darwin a farci conoscere»
Roberta Pelachin racconta il matrimonio con Giorello celebrato venerdì scorso online
di Annachiara Sacchi
Buffo e surreale, come era lui sempre, anche in quel matrimonio così voluto e così accelerato, tre giorni prima di morire. Brillante e tenerissimo da sembrare uscito da una pièce teatrale. Roberta Pelachin Giorello lo racconta con un filo di voce e un sorriso. «Era stanco, avevamo deciso di regalarci un giorno di gioia e di piacere». È stato così venerdì 12 giugno. «Giulio a letto, non ce la faceva ad alzarsi, io e i miei tre testimoni con lui. Il telefonino, il mio, incastrato nella libreria, connessi da una parte con l’ufficiale del Comune e dall’altra con Edoardo Boncinelli, il suo testimone. Faceva tutto ridere». E l’impressione è che a Roberta, docente e scrittrice, sposata da quattro giorni e vedova da uno, da sei anni compagna di vita (ma non di casa) del professor Giulio Giorello — scomparso l’altro ieri a 75 anni — soprattutto questo mancherà, la complicità e l’ironia di un uomo straordinariamente intelligente. E sensibile.
Le loro strade si erano incrociate nel 2010. Roberta, insegnante di Storia e Filosofia alle Scuole civiche di Milano, gli aveva fatto avere il suo libro Lettera a Charles Darwin. Caro Charles ti scrivo in questa svagata sera d’estate… ( pubblicato dalle Edizioni Università di Trieste). Un paio di telefonate. «Gentile professore, vorrei sapere che ne pensa, ho scritto di scienza in forma di lettera». «L’ho letto, dottoressa…».
Altri libri, le poesie di Roberta, una in particolare dedicata all’«uomo dell’uscio», qualche conoscenza in comune. Poi una cena, un’amicizia «leggera» fino a sei anni fa, quando i sentimenti si sono fatti più profondi. Ognuno a casa sua, però. Sorride ancora Roberta: «Non c’era spazio anche per me». Libri in doppia fila ovunque, su tutti i mobili, perfino sul frigorifero, quaderni scritti a mano, fogli sparsi in un grande appartamento vicino all’Università degli Studi — la sua Statale, dove aveva studiato e insegnato — senza computer e senza televisione, con un telefonino «antico», solo per le chiamate, per nulla «smart». «Ero io la sua finestra su internet, quando doveva mandare una mail lo faceva con la mia casella di posta». E non era una posa, l’atteggiamento snob di un intellettuale fuori dal mondo. «Per lui esserci era esserci davvero, senza filtri, senza social, senza paraventi artificiali. Per lui la connessione era un incrocio di sguardi. Il mio: sapevo sempre quando stava rimuginando qualcosa, quando inseguiva un pensiero, preparava una battuta». Ma anche quello dei tantissimi fan — proprio così, una schiera foltissima — che partecipavano entusiasti e fedeli alle sue conferenze: «Ricordo le chiacchiere dopo un evento, la sua semplicità con il pubblico, il garbo, non “se la tirava”, aveva una parola per tutti, generoso sempre».
Sono stati anni di conferenze e di viaggi, di studi e di complicità. «Andavamo in Francia e nelle città d’arte dove alla buona cucina, diceva, si univa un certo gusto estetico. Ultimamente, anche grazie agli amici “Laici trentini per i diritti civili”, trascorrevamo l’estate a Pinzolo, dove facevamo piacevoli passeggiate (Giorello avrebbe dovuto ricevere le chiavi della cittadina trentina tra luglio e agosto, ndr)».
Il testimone
«Suo testimone è stato l’amico genetista Edoardo Boncinelli. Era collegato online»
Una camminata, un bicchiere di birra (irlandese, possibilmente), i libri e i fumetti, gli impegni con le case editrici, gli incontri, le presentazioni, gli appuntamenti. Eppure Giulio Giorello sentiva il peso dell’età, nonostante il suo cervello giovane, la curiosità fanciullesca per qualsiasi proposta — intelligente — gli fosse fatta, la mente aperta. È Roberta a raccontare questi momenti di tristezza: «Si sentiva un vecchio inutile, mi diceva. E allora io mi arrabbiavo, contestavo, Giulio non ti lamentare! Ma ti rendi conto di quello che dici? Sai che cosa vuol dire trasmettere il piacere della conoscenza? Sai quanto bene hai fatto e continui a fare?». Poi è arrivato il Covid.
«È andata come è andata», la voce di Roberta per la prima volta si incrina. Un moto di rabbia: «Certo che se invece di farci aspettare sei giorni prima di ricoverarlo… Capisco che a marzo la situazione negli ospedali era tragica e Giulio non aveva tosse. Ma è arrivato al Policlinico con 62 di saturazione, la mente offuscata per la mancanza di ossigeno… Non doveva succedere».
Condizioni disperate, ma Giulio Giorello ce l’aveva fatta. Aveva combattuto e vinto, anche grazie al sostegno di Roberta. Due mesi di cure. «È tornato a casa il 27 maggio, sulle sue gambe, stava bene, così sembrava, voleva a tutti i costi lasciarsi alle spalle il ricovero, la malattia. E tornare». Aveva in testa il matrimonio, diceva. Ci aveva pensato in ospedale, voleva farlo. Presto. Mentre la situazione — qualche giorno dopo le dimissioni — di nuovo precipitava: «Peggiorava, ma il dottore diceva che era normale, una coda dell’infezione, che il fisico era debilitato. E questa volta c’ero io accanto a lui, avrei potuto seguirlo, stargli vicino». Ieri mattina Roberta avrebbe dovuto ritirare le analisi del professor Giorello. «Per cominciare una nuova cura».
La prospettiva
«Ognuno viveva per conto suo, ma stavamo pensando a un’abitazione in comune»
Era a letto da una settimana, Giorello. Peggiorato, affaticato. Roberta sempre più angosciata, tesa. Ma ancora «non si preoccupi, è normale, poco alla volta migliorerà, stia tranquilla». Il professore era a letto anche venerdì scorso, il giorno del suo matrimonio. Sorridente e allegro, lo scambio degli anelli, le promesse, le risate con i testimoni, l’emozione. Una giornata serena. E un pensiero vagheggiato da tempo e poche volte espresso: «Magari una casa insieme, anche se ognuno di noi avrebbe tenuto il suo “posto”. Certo non la sua». Un sospiro. «È durato poco il nostro matrimonio, già. Davvero poco».
Avevano imparato a stare insieme nonostante le differenze; nonostante il disordine geniale di lui avevano trovato un amoroso equilibrio. Roberta non cede al dolore, neanche adesso: «Voglio pensare a tutto quello che di bello e speciale Giulio sapeva dare. Con lui si poteva parlare di tutto, scherzare e riflettere, amava fare battute. Era ironico, mai superficiale. Dolcissimo».