La rassegna È «Macchine» il tema del Festivalfilosofia di Modena al via da domani. Nel segno del pensatore scomparso nel 2019
Il progresso delle tecnologie impone nuove riflessioni. L’eredità di Remo Bodei
di Silvia Vegetti Finzi
Quest’anno la XX edizione del Festivalfilosofia di Modena, dedicata a Remo Bodei (deceduto lo scorso anno), è intitolata «Macchine», uno degli argomenti trattati dallo stesso Bodei nel suo ultimo libro Dominio e Sottomissione. Schiavi, animali, macchine, Intelligenza Artificiale, edito dal Mulino (2019).
Bodei iscrive il concetto di tecnica, posto da Heidegger al centro della riflessione filosofica, in una prospettiva di lunga durata, centrata sul rapporto di supremazia e sfruttamento che, a decorrere dagli schiavi del mondo antico sino ai robot, l’uomo instaura sull’altro considerato non umano. Forme di dominio che, pur mutando nel tempo, permangono nelle attuali democrazie che, almeno formalmente, sembrano averle superate.
Attualmente i rapidi progressi delle biotecnologie stanno suscitando reazioni apologetiche o denigratorie che oscillano tra paura e speranza. Se, parafrasando il Vangelo di Giovanni, il Verbo non si è fatto carne ma macchina, quali trasformazioni ci attendono? Diventeremo gli schiavi stupidi di macchine intelligenti? L’interrogativo si sposta allora su noi stessi, sulla capacità di mantenere la nostra identità mentre tutto cambia fuori e dentro di noi quando, ad esempio, tecniche chirurgiche sempre più progredite consentono d’inserire in una persona malata organi e dispositivi sostanzialmente estranei al suo organismo. Chi sono io dopo che parti molto importanti di me, quelle più significative come il cuore, simbolo dell’amore, e il fegato, del coraggio, siano state sostituite?
Siamo già corpi tecnologici, basta pensare alle protesi che incorporiamo (impianti odontoiatrici, lenti a contatto, apparecchi acustici e, per prossimità, cellulari, palmari, computer portatili…), dispositivi che in futuro saranno sempre più numerosi e incisivi.
Qual è dunque il valore di successi sportivi conseguiti grazie all’utilizzo di protesi straordinarie, come le lamine di carbonio che hanno sostituito le gambe del velocista paralimpico Oscar Pistorius?
Con l’avvento della modernità e la morte dell’anima individuale, l’identità è diventata un costrutto personale, un compito narrativo: io sono la mia storia. Ma ora l’Io narrante, autobiografico, è minacciato dalle manipolazioni dell’Intelligenza artificiale che, stimolando specifiche aree cerebrali, è in grado di cancellare o modificare il ricordo delle nostre esperienze, suscitare sensazioni virtuali, indurre comportamenti involontari non memorizzabili.
La nostra volontà rischia
di impoverirsi una volta trasferita nelle macchine. Di fronte a tale minaccia serve un’etica del limite
La volontà umana rischia di impoverirsi una volta trasferita in macchine sempre più autonome, comandate da codici matematici come gli algoritmi.
Di fronte a questa minaccia, sarebbe necessario formulare un’etica del limite e della responsabilità nonché, come proponeva Stefano Rodotà, un nuovo Diritto. Ma il compito ci trova impreparati. Come sostiene Günther Anders nel noto saggio L’uomo è antiquato, stiamo assistendo a trasformazioni tecniche tumultuose senza che il nostro potenziale emotivo sia in grado di comprenderle e controllarle.
La medicina, progressivamente affidata alle macchine (basta pensare all’importanza dei ventilatori nella terapia intensiva del Covid-19, veri e propri salvavita), rende impossibile una rivolta antitecnologica. Ma non possiamo pensare neppure a una resa incondizionata.
Secondo Remo Bodei, di fronte a questa contraddizione, una forma di educazione universale e permanente non solo è possibile ma auspicabile.
Il cyborg- femminismo di Donna J. Haraway porta al limite l’accettazione delle biotecnologie. Scorge infatti, negli innesti nel corpo di parti umane, meccaniche e animali, l’opportunità non solo di ampliare le nostre potenzialità, ma di aprire la nostra chiusa identità antropocentrica alle differenze etniche, sessuali, generazionali e animali. Una prospettiva fantascientifica per certi aspetti già in atto, basta pensare alla funzione filiale che svolgono cani e gatti nella nostra vita.
Non possiamo però affidare all’individuo il compito immane di rivoluzionare il rapporto con noi stessi e col mondo. Poiché la sfida riguarda ognuno e coinvolge tutti, la risposta va inserita in un progetto collettivo basato sulla consapevolezza, come propone Edgar Morin, di costituire una «comunità di destino».