L’autogol giudiziario dei politici.

Una volta c’erano gli eletti; ma ormai sono di più i reietti. Perché i gironi infernali si moltiplicano, come i peccati via via elencati dalle leggi. Peccati dei sindaci o dei parlamentari, dei governatori o dei ministri. Ciascuno distinto dall’altro, come le categorie dei peccatori: ineleggibili, incompatibili, incandidabili, infine impresentabili. Ma di questo passo succederà che non si presenteranno al voto gli elettori. È l’autogol della politica, specialità di cui fu campione lo stopper Niccolai. Loro sperano di guadagnare credito sottoponendosi all’analisi del sangue; invece ottengono discredito. Un po’ perché nelle vene della politica italiana circola ancora qualche litro di sangue infetto. Un po’ perché la cattiva politica degli ultimi vent’anni ha allevato un vampiro, che di sangue non ne avrà mai abbastanza. E allora puoi anche decidere, per esempio, di togliere il vitalizio agli ex parlamentari condannati (delibera del 7 maggio); quel vampiro obietterà che avresti dovuto togliergli la vita, non il vitalizio.

Non che la questione morale sia un affare secondario. È importante, eccome. Non per nulla la Costituzione (articoli 48 e 54) pretende la dignità e l’onorabilità di chi ricopra un ufficio pubblico elettivo. Ma i politici hanno trasformato la questione morale in una questione strumentale. Usandola cioè per mollare uno sgambetto all’avversario, per risolvere beghe di partito. Opponendo all’uso politico della giustizia l’uso giudiziario della politica. E in ultimo forgiando un guazzabuglio di norme contrastanti. Sicché parlamentari e ministri precipitano all’inferno dopo una sentenza definitiva di condanna. Gli amministratori locali dopo una condanna in primo grado. Ma all’Antimafia basta il rinvio a giudizio per dichiararti «impresentabile».
Ecco, gli impresentabili. Nell’autunno scorso la commissione parlamentare Antimafia approvò un codice di autoregolamentazione. Allora tutti d’accordo, mentre adesso abbondano i pentiti. D’altronde pure questo è un film già visto: ne sa qualcosa Berlusconi, che votò la legge Severino salvo poi rimetterci il seggio in Parlamento. Quanto al codice dell’Antimafia, chi lo viola non rischia alcuna sanzione. Dunque non è un codice, è una chiacchiera. Però i partiti chiacchierati devono spiegare all’opinione pubblica perché hanno scelto il candidato impresentabile (articolo 3). Difficile farlo, quando la lista nera viene infiocchettata a due giorni dal voto. Ma è anche difficile sorprendersi se l’Antimafia la redige, dal momento che quest’obbligo deriva dal codice medesimo (articolo 4). Eppure dal Pd monta un coro di reazioni stupefatte. Noi, invece, non ci sorprendiamo più di nulla. Nemmeno che l’imputato principale (De Luca) minacci di denunziare il proprio giudice (Bindi). Comunque la si giri, per il suo partito quella candidatura è un autogol: l’ennesimo.
C’è modo di mettere a partito la testa dei partiti? Sì che c’è, ed è pure un modo semplice. Basterebbe unificare i troppi rivoli di questo fiume normativo, dettando la stessa regola per chiunque chieda il nostro voto alle elezioni, dal Senato al Consiglio comunale. E servirebbe inoltre una legge sulle primarie, dove ciascuno fa come gli pare. Un’altra legge sui partiti, che la Costituzione reclama invano da 67 anni. Sulle lobby, quale esiste negli Usa da 69 anni. Servirebbe, in breve, una cornice di norme generali, concise, e possibilmente chiare. Dopo di che i politici facciano politica, lasciando la giustizia ai giudici. Anche perché, quando si pretende di fare due mestieri, per solito si procura un doppio danno.
Michele Ainis

michele.ainis@uniroma3.it