di Pierluigi Piccini
“L’attuale dominio del Logo, la scritta Hollywood riproposta da Maurizio Cattelan sulla discarica di Bellolampo a Palermo o l’alleanza tra Miuccia Prada e Rem Koolhaas promossa da Germano Celant, proietta l’arte verso l’esterno, negando quel radicamento interiore sul quale, da Paul Klee a Marcel Duchamp, essa era cresciuta per tutto il novecento”. Proviamo a ragionare su questo concetto visto che anche a Siena si fa tesoro di questi cambiamenti e ridefinizioni di Logo: esempio ne sia l’Accademia Chigiana e l’Università per Stranieri. Potrebbe sembrare a prima vista un fatto marginale, viceversa è, a mio parere, un bel tema di riflessione carico di significati. Cosa si tenta di fare con tale operazione? Sicuramente, nella mente degli ideatori, svecchiare le istituzioni, darle un taglio diverso, assimilarle alla cultura dell’immagine del simulacro, più forte della stessa realtà è della stessa tradizione. Un tentativo di far inseguire la virtualità dalla realtà capace, la prima, di trainare l’esistente verso la cultura della mondializzazione del contemporaneo. Prova ne sia che insieme al Logo si cambiano anche i programmi e si riducono le vocazioni storiche e identitarie come la formazione nel caso della Chigiana. Orbene siamo sicuri che tutto ciò risponda ad una corretta lettura dei processi innovativi che coinvolgono il contemporaneo, così come in Italia e a Siena. L’Italia è marginale rispetto alle nuove identità mercantili. Il nostro paese non ha città-stato dove avviene la nuova accumulazione del capitale (Marx), le tre aree più grandi come quella di Milano, Padova e Napoli sono ridicole se messe a confronto con le altre a livello internazionale. Non è un caso che nei primi venti musei più visitati al mondo l’Italia non ci sia nonostante abbia tesori artistici immensi. In tale mancanza c’è qualcosa di più della cattiva organizzazione. Inquadrato in questa logica anche il dinamismo renziano diventa poca cosa, copiato, così come copiati diventano i modelli organizzativi che il presidente del consiglio nonché segretario del partito vuole realizzare nell’italietta di leniniana memoria. Questa cultura della spettacolarizzazione dello Smart diventa ridicola, di importazione, estremamente provinciale. Se poi mettiamo la Toscana e Siena dentro la scala di valori sopra descritti tutto diventa ancora più provinciale, penoso. Culture appiccicate capaci solo di creare frustrazioni e incomprensioni. Oggi solo il sud e più precisamente il sud del mondo, in questa dimensione, è capace di introdurre significati, rovesciando i temi e introducendo valori di tipo etico contrapponendo la città alla campagna (Gramsci, Pasolini), meglio la città-stato alla natura. Il sud è portatore di significati. In più, la cultura italiana si è sempre distinta, quando non è stata protagonista, per la capacità di filtrare il moderno il contemporaneo. Cito a supporto di questo il salone Italia alla biennale di Venezia che al di là della riuscita si pone un obiettivo: verificare se esiste un codice italiano.
Non vorrei sembrare rinunciatario o contro il contemporaneo, a mio parere, esiste uno spazio proprio del locale del piccolo a cui bisogna sapersi rapportare. Lo spazio è quello della identità materica, della tradizione, della qualità che non insegue il consumo per il consumo, ma si pone come soggetto formativo e di ricerca e che fa della “materialità” il punto della riscoperta della propria identità. Se provassimo a leggere in questa luce il fallimento dell’esperienza della capitale europea della cultura probabilmente avremmo delle risposte più chiare. Non è un caso che abbia vinto Matera, ma non, come dice qualcuno, perché é il sud che va aiutato in una logica assistenziale sappiamo che non è così dai tempi di Salvemini. No, in questo caso è il sud quello che dicevamo prima che ha vinto, là dove si confondono arte e natura, paesaggio e il valore materico e simbolico del mar Mediterraneo. Non sarebbe male se qualche volta si ragionasse anche in questi termini invece di pensare sempre ai complotti e agli amici influenti. Siena sta perdendo la sua identità come la sta perdendo la Toscana perché sta inseguendo “una falsa idea di bene”. Inseguono il consumo, l’immagine con una classe dirigente che scimmiotta, copia le mode culturali e gli stili di governo: oggi il vincente di turno è Renzi. Renzi che copia sia i modelli comportamentali che quelli organizzativi sotto i riflettori dello spettacolo. Ma se provassimo, noi nel nostro piccolo, a rovesciare lo schema di gioco? Abbiamo una nicchia di mercato insuperabile!
Pierluigi Piccini