Siamo però un Paese pieno di energie e di risorse inaspettate. Nonostante tutto l’economia cresce più del previsto, le aziende si sono trasformate e competono sui mercati internazionali. Anche la politica è riuscita a varare qualche buona legge nel campo del lavoro e in quello dei diritti sulle unioni civili e il biotestamento. Va dato atto a Paolo Gentiloni di aver preso il timone in una situazione difficilissima, dopo le dimissioni di Renzi, e di aver condotto in porto la legislatura con un percorso fruttuoso e ordinato.
I eri, nella sua conferenza stampa, ha rivendicato «serietà e sobrietà» e ha esortato a tenersi lontani nella campagna elettorale «dalla promozione di illusioni, dalla facile vendita di paure e dal dilettantismo». Si rivolgeva a tutti i partiti ma certamente anche al suo Pd, colpito da un evidente calo del consenso e dalla scissione a sinistra. Chiedere al Partito democratico di recuperare i tratti di «una tranquilla forza di governo» è un buon punto di partenza viste le convulsioni e le rincorse populiste degli ultimi anni.
Ci convince di meno la tesi che l’Italia sia un Paese «abbastanza vaccinato alla frequenza dei cambiamenti di governo». L’instabilità è il rischio più grande che dovremo fronteggiare nei prossimi mesi. Ne abbiamo vissuta tanta ma non possiamo considerarla inevitabile, come fosse inscritta nel nostro Dna. Nessuno degli attori che si presentano agli elettori per chiedere voti può sfuggire. Non può farlo il centrosinistra ancora alle prese con le divisioni e con il fuoco amico che hanno segnato i 25 anni della cosiddetta Seconda Repubblica. Non può evitare questo nodo un centrodestra che si avvia ad affrontare insieme la corsa alle urne, con buone chance di vittoria, ma profondamente diviso sui programmi, sui riferimenti internazionali e sulla leadership. Un chiarimento è indispensabile, altrimenti diventerà sempre più forte la sensazione di una carovana messa in piedi solo per questa occasione.
Ancora più preoccupante è quello che accade nel Movimento Cinque Stelle, forte di consensi ma altrettanto debole nella proposta politica e nella selezione della classe dirigente. L’incompetenza mostrata nella prova molto negativa di governo a Roma, le continue polemiche interne, i programmi rischiosi, l’assenza di apertura e dialogo con qualsiasi altra forza politica rendono M5S un protagonista indecifrabile.
La protesta e le paure sono state la benzina che ha permesso di conquistare voti. Ma altri cinque anni di transizione e di esperimenti sono l’ultima cosa che possiamo permetterci in un contesto in cui si deciderà il futuro del nostro Paese e dell’Europa. E allora sfruttiamo questi due mesi di campagna elettorale per dimostrare di essere diventati adulti.
Corriere della Sera – Luciano Fontana – 29/12/2017 pg. 1 ed. Nazionale.