dopo lo stop alla carriera di luglio
Roberto Barzanti
Il Palio del 2 luglio è stato annullato, ma ormai era solo una presa d’atto più che una decisione. È stata mantenuta accesa una speranzella per la Carriera del 16 agosto, ma molto tenue. Il consiglio comunale di Siena ha rielaborato, emendato e corretto la delibera presentata in prima battuta dal sindaco. Delibera che aveva scontentato tutti anche perché priva di basi giuridiche adeguate. Il presidente dell’assemblea Falorni invece di garantire un confronto aperto tra tutte le forze presenti ha preferito dedicarsi a ricomporre i cocci della maggioranza contribuendo a fare di un tema che coinvolge le rappresentanze di tutta la città una bega da politichetta. Nel Palio si riflettono sempre stile politico e sensibilità culturali. E ora che fare? Lo scontento è diffuso. «Quando si tornerà a vedere il Palio?»: questo interrogativo di sapore dantesco rode l’animo dei senesi, e di quanti seguono una festa dalle molte implicazioni. Era stato illegittimo prefigurare un «rinvio» a successive date degli attesi appuntamenti dal momento che esso scatta (art. 90 del regolamento ) se durante la manifestazione si verifichino, per eventi meteo o per atti di disordine pubblico, situazioni impraticabili. Per strigare la matassa la soluzione più limpida non poteva essere che quella di prospettare l’effettuazione di un Palio straordinario appena le condizioni la renderanno possibile, dopo avere applicato — beninteso — le procedure stabilite per verificare se si avrà il consenso di almeno dieci Contrade. Certo il punto non poteva essere incluso nella delibera approvata il 31 maggio, ma ben indicato nel dibattito che l’ha accompagnata. Invece la questione che tanto appassiona l’opinione pubblica è emersa in alcuni interventi delle minoranze senza il dovuto rilievo. Perché questa impasse? Perché hanno destato tante ostilità le ipotesi di «spostare» le date dei due Palî ordinari? Nella storia della festa non sono mancati slittamenti o recuperi dovuti a cause le più varie: un terremoto (1798), l’insorgenza sanfedista del «Viva Maria» (1799) , l’assassinio di Umberto I che fece rimandare tutto a settembre: sono i primi esempi che vengono in mente. Fu per evitare una talvolta encomiastica mobilità che la revisione del regolamento del 1949 confermò imperativamente i tratti rigidi di una puntuale liturgia civica. Il 2 luglio è stato scelto da secoli per onorare la Visitazione di Maria alla cugina Elisabetta, è la festa del Magnificat. Mezz’agosto coincide con l’Assunzione, giornata culminante delle trionfali cerimonie che trasferirono nel mondo cristiano le classiche Feriae Augusti: un’esuberante sosta dopo le estenuanti fatiche dell’agricoltura. L’intreccio tra identitaria agenda civica e fastose solennità religiose, tra fiero agonismo e rigoglio della natura, perpetua per tutti, credenti o no, ritmi esistenziali. I più giovani avvertono meno, nella babele della postmodernità, questi solidi rapporti antropologici. Se sono le circostanze oggettive a imporle sono oggi preferibili privazioni spiacevoli e, quanto prima, un Palio straordinario, vissuto con espansiva pienezza partecipativa, appena le condizioni lo permettano. Questo è l’obiettivo cui applicarsi con concordia. Il quadro cronologico ci sovrasta e non è dato cambiarlo a piacere. La celebrazione irrompe come un allegorico rito con le sue cadenze: «Non una coreografia spettacolare — scrisse Tommaso Landolfi in visita —, ma già un’opera d’arte, miracolosamente rinnovata, per virtù di passioni, ogni volta». Forse l’aura, come dell’arte in genere, si è un po’ attenuata. È un motivo in più per salvaguardare una statuita collocazione spazio-temporale. Per un Palio straordinario non sarebbe blasfemo tener conto della sua straordinarietà e non introiettarvi l’esecuzione delle punizioni pur giustamente deliberate per gli ordinari. Tre Contrade (Oca, Tartuca, Nicchio) devono scontarle e probabilmente è questo uno dei fattori che complica le cose. Il regolamento non permette improvvisare deroghe: oggi è augurabile fare uno sforzo per superare sospetti e egoismi. Nelle cronache viene ripetuta una parolaccia dal buffo successo: l’anglicizzante e scientifica «resilienza». Resistere curando fedelmente i consacrati fondamenti del Palio è simbolo di una tenace resilienza. Far sì che — se oggettivamente possibile — entro il 2021 la festa grande di Siena torni a eccitare antiche passioni sarà il segno di una ripresa forte e solidale. Di una città toscana che ha subito colpi non soltanto per la malefica pandemia.
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