di Chiara Saraceno
Lo scandalo della disattenzione sulla scuola sembra non avere limite. La ministra dell’Istruzione ha fatto avere la sua proposta di linee guida a Regioni e sindacati da cui emergono solo due cose chiaramente, entrambe preoccupanti.
La prima è che, in nome dell’autonomia scolastica, che viene comoda quando dal centro non ci si vuole assumere responsabilità, viene delegato totalmente alle singole scuole come “garantire il ritorno alla didattica in presenza”: turni, divisione delle classi in più gruppi, riaggregazione di gruppi di alunni di classi diverse e anche di anni diversi, didattica mista, un po’ in presenza e un po’ a distanza, aggregazione di diverse discipline in ambiti più grandi, possibilità di usare anche i sabati per i turni.
Tutto dipenderà dalle scelte, e dalle possibilità, delle singole scuole, senza che siano indicate né condizioni minime né risorse aggiuntive disponibili, con buona pace dei diritti educativi dei bambini e ragazzi e del diritto dei genitori, specie dei più piccoli, di sapere con ragionevole anticipo come sarà organizzata la giornata e la settimana dei loro figli.
La seconda cosa che emerge da queste “linee guida” è che la ministra apparentemente non si rende conto che sia i turni, sia la didattica mista richiedono di aumentare i docenti, perché non si può chiedere agli insegnanti semplicemente di sdoppiarsi, per fare a un gruppo la didattica in presenza e all’altro quella a distanza, o il turno mattutino e poi quello pomeridiano.
Al contrario, nelle linee guida è scritto chiaramente che il miliardo a disposizione per il personale dovrà essere dedicato preferibilmente all’assunzione di bidelli e assistenti.
Che la ministra intenda il problema della scuola in epoca di Covid 19 come una questione prevalentemente di spazi e sorveglianza emerge anche dalla sua interpretazione delle proposte di attivazione delle risorse educative delle comunità locali, avanzate sia dall’associazionismo civile sia dallo stesso Comitato consultivo da lei insediato ma, evidentemente, non ascoltato.
Nelle linee guida si interpreta l’idea di “patto educativo di comunità” come possibilità sia di usare spazi messi a disposizione dalla comunità locale sia di utilizzare chi già faceva attività integrative nelle scuole in “attività di sorveglianza e vigilanza degli alunni”.
Assente del tutto è l’idea di una organizzazione complessiva della didattica che si apra alla comunità locale, a competenze e attività esterne organizzate in modo non estemporaneo — l’unico modo che potrebbe consentire una effettiva attività educativa in presenza, arricchendola.
Infine, nelle linee guida non si fa menzione dei nidi né dei servizi educativi per la primissima infanzia, un settore che la ministra ha ignorato sistematicamente fin dall’inizio, delegandolo di fatto alla ministra della Famiglia, dimenticando che dal 2017 i servizi per la primissima infanzia fanno parte a pieno titolo dei servizi educativi, quindi sono responsabilità del suo ministero.
Questa sciatteria e mancanza di rispetto per i nostri figli, per le giovani generazioni, sono davvero intollerabili.