di Pierluigi Piccini
La “riorganizzazione del disciolto partito fascista”, già oggetto della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione della Repubblica Italiana, si intende riconosciuta, ai sensi dell’art. 1 della citata legge (20 giugno 1952, n. 645): “quando un’associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista”.
Spero che citare una legge dello Stato e la Costituzione italiana non venga frainteso e non mi si etichetti come fascista, cosa che non sono e che non sarò mai. Ma indipendentemente dalle questioni di natura soggettiva, l’aspetto che mi preme sottolineare è lo sforzo che i costituzionalisti fecero per elaborare il testo fondante della Repubblica, nella quale viviamo, ispirato alla riconciliazione nazionale e alla costruzione di uno stato di diritto. Cosa sia l’apologia del fascismo è cosa chiara e il suo perseguimento è affidato al Prefetto e alla magistratura ordinaria. Personalmente non riesco a vedere il collegamento fra questo reato è il rilascio del suolo pubblico per fini che sono regolati da leggi e regolamenti di natura commerciale che hanno alla base una corresponsione di denaro, non altro. Sarebbe a dire che se si deve montare un ponteggio per intervenire su un immobile, il richiedente deve prima dichiarare la sua visione del mondo che non deve essere compromessa con l’ex regime fascista e con le sue idee. Ma ammettiamo che alcuni rilasci di suolo pubblico possano contenere, in nuce, degli elementi pericolosi per la Repubblica e per ciò che è fissato nei principi costituzionali. Non spetta certo alle autorità comunali censurare preventivamente una ipotesi di reato, ma alle autorità preposte sia di natura amministrativa, il Prefetto del luogo, e penale, la magistratura competente e solo quando il reato si manifesta concretamente. Se così non fosse avremo uno strano miscuglio di competenze che annullano nei fatti, i principi della separazione dei poteri tipiche dei regimi che tutti noi vogliamo combattere e condannare. Un ritorno del pensiero unico che tanti danni ha fatto all’umanità. Non vorremmo, a questo proposito, che fossero abbattuti interi quartieri come ad esempio l’Eur a Roma o che fossero distrutte opere d’arte, come quelle di Sironi, ad esempio. Il provvedimento preso dall’amministrazione potrebbe portare a diversi contenziosi che verrebbero regolati, fortunatamente, da un giudice. L’esito credo che sia scontato, ma con una sola differenza che il privato dovrà pagarsi la causa di tasca propria, mentre l’amministrazione potrà utilizzare i fondi di bilancio, cioè dei cittadini senesi. Una differenza di non poco conto.