MOLTO prima di diventare un formaggio, l’Italia era già “Il Bel paese”. Per i tedeschi “Il giardino d’Europa”. Lo scrittore Henry James considerava la romana Villa Ludovisi una meraviglia senza confronti. Per i romantici tedeschi “Il giardino d’Europa”. Lo scrittore americano Henry James considerava la romana Villa Ludovisi (poi lottizzata) una meraviglia senza confronti. Nessuna giovinezza inglese poteva veramente dirsi compiuta se non dopo aver fatto un viaggio italiano sfidando le povere locande, l’occasionale incontro con qualche brigante. Eccetera, eccetera.
Questo però accadeva un secolo e passa fa, due secoli fa e si può capire che accadesse perché sulla base di un criterio esistenziale allora in voga era nel ‘pittoresco’ che si toccava il massimo raggiungimento estetico. Agli occhi dei visitatori stranieri l’Italia era il paese “pittoresco” per eccellenza, quello nel quale la natura mescolandosi ai resti delle antiche costruzioni aveva creato imprevisti effetti di sovrapposizione, suggestioni e turbamenti che l’aggettivo cercava di descrivere, le pagine di diario o lo schizzo a matita su un taccuino di fermare. Ovviamente nel “pittoresco” erano via via entrati a far parte anche gli aspetti oscuri, le incertezze e i rischi che un viaggio italiano comportava. Ma tutto questo, ripeto, accadeva molto tempo fa. E oggi? Quali aspetti possono continuare ad attrarre un tale numero di visitatori in un’epoca così mutata dai tempi del Grand tour? I briganti con il cappello a cono e lo schioppo non ci sono più, però ci sono altri disagi: i trasporti pubblici non sempre efficienti, i prezzi non sempre onesti, il cibo non sempre all’altezza della qualità di una delle più sapienti cucine del mondo.
Le ragioni del successo a dispetto di tante mancanze sono numerose, si può cercare di indicarne qualcuna. L’Italia resta il paese della bellezza, tento di scomporre questa espressione che può apparire scontata nei suoi elementi. Bellezza vuol dire una quantità e qualità senza pari di opere arte; non parlo solo di quadri e sculture, cappelle e palazzi ma di intere città e borghi opere d’arte nel loro complesso.
Succede anche altrove in Europa ma non con l’intensità e la frequenza che si ha in Italia. Potrei fare molti esempi, ognuno ha il suo, il mio in questo momento è l’Umbria. Piazze, archi, fontane, scorci urbani che aprono d’improvviso su vasti orizzonti lontani, perfino gli accostamenti casuali di colori: il giallo intenso dei campi mietuti contro il verde cupo dei cipressi. Infatti opera d’arte è spesso il paesaggio là dove la natura è stata cesellata dalla pazienza e sapienza di generazioni e dove allarga il cuore vedere che un sfondo di campi, boscaglia e colline non è molto diverso oggi da come lo ritraeva un vedutista del XVI secolo. Contribuisce la luce, dono senza merito perché frutto della collocazione geografica. Contribuisce, in qualche caso, la residua cordialità di un popolo noto un tempo per la sua rustica gentilezza. La varietà del paesaggio è un’altra prerogativa. La lunghezza dello stivale causa di non pochi disagi, diventa in un’ottica turistica un altro atout da giocare: dalle valli alpine a tratti di costa tra i più belli del Mediterraneo. Sappiamo tutti anche il molto che abbiamo perso in anni di speculazione dissennata, talvolta suicida. Ma evidentemente per chi ha meno strumenti di confronto, ciò che resta è sufficiente.
Questo però accadeva un secolo e passa fa, due secoli fa e si può capire che accadesse perché sulla base di un criterio esistenziale allora in voga era nel ‘pittoresco’ che si toccava il massimo raggiungimento estetico. Agli occhi dei visitatori stranieri l’Italia era il paese “pittoresco” per eccellenza, quello nel quale la natura mescolandosi ai resti delle antiche costruzioni aveva creato imprevisti effetti di sovrapposizione, suggestioni e turbamenti che l’aggettivo cercava di descrivere, le pagine di diario o lo schizzo a matita su un taccuino di fermare. Ovviamente nel “pittoresco” erano via via entrati a far parte anche gli aspetti oscuri, le incertezze e i rischi che un viaggio italiano comportava. Ma tutto questo, ripeto, accadeva molto tempo fa. E oggi? Quali aspetti possono continuare ad attrarre un tale numero di visitatori in un’epoca così mutata dai tempi del Grand tour? I briganti con il cappello a cono e lo schioppo non ci sono più, però ci sono altri disagi: i trasporti pubblici non sempre efficienti, i prezzi non sempre onesti, il cibo non sempre all’altezza della qualità di una delle più sapienti cucine del mondo.
Le ragioni del successo a dispetto di tante mancanze sono numerose, si può cercare di indicarne qualcuna. L’Italia resta il paese della bellezza, tento di scomporre questa espressione che può apparire scontata nei suoi elementi. Bellezza vuol dire una quantità e qualità senza pari di opere arte; non parlo solo di quadri e sculture, cappelle e palazzi ma di intere città e borghi opere d’arte nel loro complesso.
Succede anche altrove in Europa ma non con l’intensità e la frequenza che si ha in Italia. Potrei fare molti esempi, ognuno ha il suo, il mio in questo momento è l’Umbria. Piazze, archi, fontane, scorci urbani che aprono d’improvviso su vasti orizzonti lontani, perfino gli accostamenti casuali di colori: il giallo intenso dei campi mietuti contro il verde cupo dei cipressi. Infatti opera d’arte è spesso il paesaggio là dove la natura è stata cesellata dalla pazienza e sapienza di generazioni e dove allarga il cuore vedere che un sfondo di campi, boscaglia e colline non è molto diverso oggi da come lo ritraeva un vedutista del XVI secolo. Contribuisce la luce, dono senza merito perché frutto della collocazione geografica. Contribuisce, in qualche caso, la residua cordialità di un popolo noto un tempo per la sua rustica gentilezza. La varietà del paesaggio è un’altra prerogativa. La lunghezza dello stivale causa di non pochi disagi, diventa in un’ottica turistica un altro atout da giocare: dalle valli alpine a tratti di costa tra i più belli del Mediterraneo. Sappiamo tutti anche il molto che abbiamo perso in anni di speculazione dissennata, talvolta suicida. Ma evidentemente per chi ha meno strumenti di confronto, ciò che resta è sufficiente.
La Repubblica – CORRADO AUGIAS – 30/07/2017 pg. 1 ed. Nazionale.