Primo Maggio, il fragile operaio virtuale
Non basterà un decreto per far ripartire il lavoro anche perché le persone hanno bisogno di capire quali criteri si stanno seguendo nel decidere chi può lavorare e chi no. Inizialmente è stato consentito solo ad alcuni settori di tornare in attività dimenticando che le aziende possono funzionare solo se hanno fornitori anch’essi in grado di operare. Adesso si è deciso di aprire tutto tranne il commercio al dettaglio, il turismo, lo spettacolo e poco altro.
Si è guardato alla sicurezza? Se così fosse, avremmo dovuto liberalizzare guardando alle mansioni piuttosto che ai settori. In tutti i comparti ci sono lavori che possono essere svolti da casa o con poca mobilità e sporadici contatti con altre persone. E per un’impresa è molto più facile modificare l’organizzazione del lavoro al suo interno che cambiare filiera produttiva. In queste settimane le imprese hanno dimostrato una grande capacità di adattamento: a inizio marzo solo il 6% delle imprese utilizzava lo smart working per più di due terzi dei propri dipendenti. Oggi questa percentuale è salita al 75% secondo una recente indagine Manageritalia.
Si è pensato di tornare a offrire ai cittadini la più ampia gamma possibile di beni di consumo per sostenere la domanda? Ma allora perché escludere comparti come il commercio al dettaglio e il turismo che assorbono quasi un quarto dei bilanci famigliari? Se le condizioni di sicurezza possono essere garantite nei supermercati non si vede perché non sia possibile garantirle anche nel caso di molti piccoli esercenti.
Il Primo Maggio è anche la festa del lavoro organizzato. Il sindacato ha oggi di fronte a sé compiti ancora più impegnativi che in passato. Dovrà far sì che l’accelerazione del progresso tecnologico resa necessaria dalla messa in sicurezza di molti lavori, soprattutto nel manifatturiero, si accompagni ad adeguati piani di formazione dei dipendenti. Il sostegno pubblico alle imprese che avranno problemi di sostenibilità del debito accumulato in questa fase potrebbe proprio consistere nell’accollarsi i costi di questa massiccia riqualificazione della manodopera, anziché nel ricreare uno stato imprenditore.
Le organizzazioni dei lavoratori dovranno anche saper cogliere le opportunità che si apriranno per i lavoratori meno qualificati in attività di vigilanza sul rispetto delle norme sul distanziamento fisico (smettiamo di chiamarlo distanziamento sociale!) e di sanificazione di ambienti, favorendo lo spostamento verso queste attività di chi non riuscisse a stare al passo con la digitalizzazione di molte attività. Per fare tutto questo il sindacato dovrà necessariamente tornare dove è nato, presidiando i luoghi di lavoro anziché la sala verde di Palazzo Chigi, perché i protocolli di sicurezza e i piani di formazione si definiscono in azienda.
Nel raggiungere i lavoratori meno protetti, nell’arrivare al mondo delle piccole imprese, il sindacato può oggi contare su di un alleato di cui fino a pochi mesi fa ignorava l’esistenza. Lo smart working sta diventando un potentissimo strumento in mano al sindacato per organizzarsi e per raggiungere i lavoratori. Ora che se ne è, giocoforza, impossessato, ha capito che in questo modo si possono convocare riunioni molto più rapidamente, permettendo a molte più persone di esprimersi. Costa meno fare il sindacato sul web e si può anche farlo meglio consultando più spesso i lavoratori cui si vuole attribuire una voce collettiva. È anche questo, dopotutto, un modo per il sindacato di tornare sui luoghi di lavoro: è proprio sulle piattaforme on line che oggi operano i lavoratori più vulnerabili.