“Il terrorismo è ancora un rischio le tensioni sociali possono esplodere”

Marco Alessandrini ha 50 anni, una professione di avvocato civilista, un passato da sindaco di Pescara per il Pd e un ricordo indelebile: l’omicidio del padre Emilio, magistrato a Milano, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1979.
di Grazia Longo
Che valore ha al giorno d’oggi la celebrazione della giornata delle vittime del terrorismo?
«Enorme. Non solo per l’importanza di non dimenticare quella pagina buia della nostra storia, ma anche perché, come assistiamo in questi ultimi giorni, ci sono ancora reminiscenze di insidie alla democrazia».
Si riferisce alla stella a 5 punte sul pannello dell’ascensore della Rai?
«Proprio così, si tratta di un episodio da non sottovalutare tanto più che è avvenuto all’interno del mondo della comunicazione. Ma penso anche all’esibizione, il 25 aprile scorso, della band P38 in un circolo Arci qui a Pescara con canzoni inneggianti alle Br. Mi lasci dire che quei ragazzi sono dei cretini, non saprei come altro definirli. Come diceva il grande Ennio Flaiano, la mamma dei cretini è sempre incinta. Ma mi vengono in mente anche le parole del grande Fabrizio De Andrè quando cantava “qualche assassino senza pretese lo abbiamo anche noi qui in paese”. E comunque anche solo il nome P38 è da condannare. Per non parlare poi della stella a 5 punte alla Rai. Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di una bravata ma non è così. Quindi sia questo fatto sia la band P38 non rappresentano bei segnali».
Crede che siamo di fronte ad avvisaglie pericolose per la democrazia?
«Non bisogna essere dei sociologi per capire che stiamo attraversando un periodo di tensioni sociali. Lo ha detto da poco il ministro del lavoro Andrea Orlando, ma è sotto gli occhi di tutti. Dalla crisi economica post pandemia a quella scaturita per il conflitto bellico in Ucraina, non mancano purtroppo le condizioni che possono far esplodere tensioni sociali. E così va a finire che qualcuno pensa che ci siano scorciatoie e che considera la democrazia come una realtà scontata. Ma non è così, perché la democrazia costa fatica ed è come una pianta che va annaffiata ogni giorno».
Che cosa si può fare per arginare questo rischio per la democrazia?
«Occorre coltivare la cultura della memoria di quello che è stato il terrorismo nel nostro Paese per evitare banalizzazioni o strumentalismi. Per scongiurare il rischio di ignorare il contesto in cui è maturata l’eversione. E per raggiungere questi obiettivi occorre procedere a una formazione, a un’educazione sin dalle scuole. Negli anni in cui ho ricoperto il ruolo di sindaco e sono stato molto con gli studenti ho rafforzato la mia convinzione della necessità di educare i ragazzi. Le istituzioni non possono venire meno a questo compito. Deve passare il messaggio che chi impugna la pistola ha sempre torto e per far passare questo messaggio la scuola è al centro di tutto».
Una giornata simbolo come questa in memoria delle vittime del terrorismo è dunque particolarmente significativa?
«È sicuramente una giornata simbolo di grande valenza, anche emotiva. Ma non dobbiamo trascurare il fatto che esistono altri 364 giorni all’anno in cui non va trascurato il valore della lotta al terrorismo e alla violenza».
Lei ha perso il padre quando aveva appena 8 anni, che cosa ha significato per lei oltre al dolore personale?
«Il mio trauma individuale di rimanere orfano è coinciso il trauma del Paese, ma crescendo ho capito che occorre guardare avanti e che bisogna condannare ogni forma di violenza».
Lei ha perdonato chi ha ucciso suo padre?
«È una decisione molto personale, a cui sinceramente non mi sento pronto. Per me si tratta di un Everest ancora difficile da scalare e non so se sarà mai possibile».
In che modo si approccia alla giornata delle vittime del terrorismo?
«Con profonda emotività. Perché ovviamente penso a mio padre, ma anche ad Aldo Moro. Il 9 maggio 1978, un anno prima dell’assassinio di mio padre, venne ritrovato il suo cadavere in via Caetani. Avevo solo 7 anni ma ho impresso nella memoria quel momento. E non lo dimenticherò mai più».
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