di Pierluigi Piccini
Ci vuole, per chi è stato eletto nel Consiglio Comunale, il rispetto delle istituzioni. Gli esempi più virtuosi di questo rispetto dovrebbero partire, proprio, dal responsabile massimo dell’amministrazione, il sindaco, e dal presidente dello stesso Consiglio. Riguardo nei confronti delle istituzioni che non può essere la sola formalità in aula, che vale anche al Comune di Siena, ma qualcosa di più profondo. Profondità che si sostanzia nella presenza dei vari consiglieri e degli assessori, a partire dal sindaco, alle discussioni che si svolgono sugli argomenti iscritti all’ordine del giorno. Ma anche e soprattutto nel rispetto dei membri eletti che hanno il compito di rappresentare questioni non personali, ma della comunità. Questa premessa sarebbe stata inutile, in un contesto “normale”. Purtroppo, questa considerazione si lega alla cattiva routine gestionale del Consiglio comunale. Un primo problema è da individuare nella composizione dell’ordine del giorno: prima gli affari, poi le interrogazioni e successivamente le mozioni. È chiaro che per qualche consigliere il clou delle sedute sta negli affari e in qualche interrogazione, ma solo se interroganti o firmatari. Per questo l’aula all’inizio è piena ma va, successivamente, lentamente scemando. Deplorevole comportamento che non vale per tutti i consiglieri fortunatamente, ma che coinvolge lo stesso sindaco e alcuni assessori. Si ha la sensazione che il giorno del Consiglio comunale sia considerato dal primo cittadino una incombenza, un fastidioso rito da condividere con persone che non hanno niente di meglio da fare, e tantomeno rappresentare i senesi. L’ultimo episodio di venerdì 21 ci ha particolarmente colpito, a conferma di quanto stiamo affermando. Per prima cosa, abbiamo iniziato a discutere sugli affari alle 11, senza comprendere il perché: normalmente le riunioni consiliari iniziano alle 9. Qualche sospetto ci è venuto quando abbiamo letto che l’avvocato De Mossi era impegnato la sera precedente per una iniziativa politica a Firenze… Da quando le istituzione vengono dopo i partiti? È necessario a questo proposito fare una piccola cronistoria: iniziamo a fare gli affari e interrompiamo la seduta alle 13,45 circa: come si fa a non “mettere i piedi sotto al tavolino”? Riprendiamo alle 14 e 45. L’avvocato chiede di rispondere alle interrogazioni che lo riguardano personalmente e per fare ciò, con il consenso degli interessati, antepone alcune interrogazioni ad altre. Il motivo della richiesta è dovuto a un impegno istituzionale del suddetto avvocato, misterioso e molto strano, in un venerdì pomeriggio che precede il Natale. Comunque sia, arriviamo all’ultima interrogazione presentata dal consigliere Valentini, che intende sapere come mai De Mossi sarebbe intervenuto sul Ministero dell’interno per verificare le nomine al Museo diocesano, invadendo un terreno che non è di competenza comunale. L’avvocato risponde in qualche modo e, come fa quando è in difficoltà, dice che durante l’amministrazione precedente se ne sono viste di cotte e di crude, ma senza dare chiarimenti credibili nello specifico. Un atteggiamento irritante, ma niente in confronto a ciò che è avvenuto dopo. Come si sa, agli interroganti spetta il diritto di replica. Ma appena il consigliere Valentini riprende la parola, l’avvocato si alza di scatto e se ne va, lasciando tutti attoniti. Cosa gravissima, nel silenzio del presidente del Consiglio comunale che non ha avuto il coraggio di dire una sola parola su questa offesa, anche e non solo, all’educazione. La riunione per il responsabile dell’amministrazione è durata dalle 11 alle 15,35 mentre alcuni consiglieri sono rimasti fino alla fine per assicurare il numero legale, senza, ovviamente, la presenza dell’avvocato. L’ultimo punto all’ordine del giorno riguardava una mozione particolarmente importante, sulla quale ci sarebbe piaciuto conoscere il parere del sindaco part-time. Capiamo che i professionisti hanno altri tempi e altri modi di lavorare, ma le istituzioni hanno i loro, compresa ad esempio la rappresentanza fra di esse (Università). Nel nostro programma elettorale avevamo messo che il Presidente del Consiglio dovesse toccare alla minoranza, una proposta fatta non per caso.