Il problema è Twitter, non Elon Musk

Il dibattito sui social media e i loro padroni ha un limite sostanziale: dà per scontato che queste piattaforme siano destinate a rimanere per sempre l’epicentro della comunicazione tra persone

Asentire le lezioni del brusio liberal, l’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk non è solo una cattiva notizia: è una catastrofe. «L’acquisizione di Musk potrebbe rappresentare un passo significativo verso il crollo della democrazia», dice un tweet. Elizabeth Warren sostiene che l’accordo sarebbe «pericoloso per la nostra democrazia«».«Col senno del poi potremmo dire che Twitter ha messo l’ultimo chiodo nella bara alla possibilità di affrontare il cambiamento climatico», afferma un altro tweet. Un altro ancora si lamenta del fatto che stare su Twitter prima di Musk era come festeggiare in una sala da ballo di Berlino «al crepuscolo della Germania di Weimar».

Ricapitolando: la democrazia è morta, il cambiamento climatico è inarrestabile, l’inferno è vuoto e tutti i diavoli stanno arrivando su Twitter perché l’ha comprato l’uomo più ricco del mondo. Ma il vero patto col diavolo è quello che abbiamo siglato quando abbiamo migrato il nostro discorso pubblico sulle piattaforme dei social media. La speculazione sui cambiamenti che Musk potrebbe sostenere su Twitter nasconde il vero problema: l’indignazione indotta da algoritmi, che trasforma i nostri pensieri e la nostra attenzione in una merce.

L’inferno sono le altre persone online

Se dire che «la fine è vicina» suona un po’ melodrammatico, questa è una caratteristica principale, non un bug, dello spazio che il nostro Edgelord Emperor Elon ora possiede. Negli ultimi anni, vari designer di piattaforme di social media hanno ammesso che i loro sistemi creano dipendenza e che gli algoritmi che mediano la nostra esperienza e decidono quali contenuti vediamo sfruttano i «trigger» negativi nel nostro cervello. Secondo lo studio accademico intitolato «Angry by Design», i siti scelgono di distribuire messaggi negativi ed emotivi più lontano e più velocemente. Di conseguenza, Twitter funziona principalmente su clic mossi da paura, indignazione e odio. Non è esattamente una dichiarazione sconvolgente. Sapere che i social media fanno schifo fa parte del contesto del discorso. Tuttavia, vaste fasce della popolazione sembrano non averne mai abbastanza di arrabbiarsi sia all’interno del sistema che contro di esso.

I numeri non mentono. Il tempo che trascorriamo a consumare media digitali è aumentato durante i blocchi Covid e deve ancora tornare ai livelli precedenti al 2019. Si stima che il tempo in cui guardiamo gli schermi abbia superato le otto ore al giorno, circa la metà della nostra vita da svegli. Lo statunitense medio trascorre più di due ore al giorno sui social media, che è più del tempo che molti di noi impegnano per parlare con le persone faccia a faccia. La distinzione tra un mondo «online» e «offline» sta perdendo di significato.

Ecco perché metto in dubbio uno dei presupposti di fondo dei liberali a proposito della libertà di espressione. Affermano che l’impegno di Musk per la libertà di parola su Twitter si tradurrà in uno tsunami crescente di nuovi incitamenti all’odio, disinformazione e molestie che inonderanno i nostri newsfeed. La loro tesi sembra essere che i discorsi d’odio fluiscano da individui che sono malvagi nel mondo offline e che la loro malvagità si diffonde online. Twitter deve tenerli lontani per preservare l’integrità del nostro discorso pubblico. Musk non vuole farlo, quindi potrebbe diventare responsabile di una marea crescente di fascismo.

Ma cosa succede se sta dietro le quinte? Forse è l’architettura digitale dei social media che induce all’odio ed è almeno in parte responsabile della distorsione dei nostri pensieri e della nostra comunicazione piuttosto che viceversa.

Nel 2018, il New York Times ha pubblicato un’inchiesta dall’evidenza schiacciante sul ruolo specifico di Facebook nella promozione della violenza delle sette in Sri Lanka. Un rapporto del Council on Foreign Relations documenta l’odio creato dai social media che si diffonde nella violenza reale e porta a un aumento della violenza negli adolescenti statunitensi. Forse è la prova che è vero il contrario di ciò che credono i liberali: piuttosto che tenere le persone cattive lontane dalle piattaforme digitali, dobbiamo tenere le persone lontane dalle piattaforme digitali in modo che non diventino cattive. La verità è che Twitter era già progettato per alimentare la rabbia, generare indignazione e aumentare il tribalismo politico prima che Elon Musk lo acquistasse, perché ciò mantiene gli utenti online più a lungo e ogni minuto che si guarda uno schermo è monetizzabile. Il problema, quindi, non è l’impegno di Musk per la libertà di parola. È la motivazione del profitto di piattaforme private che campano sul discorso pubblico.

Il cambio miliardario

La libertà di parola online non è gratuita. Twitter vale miliardi e il pubblico è contemporaneamente il cliente e il prodotto, con o senza Musk.

Ancora fino alla scorsa settimana, Twitter era di proprietà di una confederazione di capitalisti. Il suo principale azionista era il Vanguard Group, una società di investimento con 7 trilioni di dollari di asset, circa venticinque volte più della fortuna di Musk. La seconda più grande era Kingdom Holding, una società controllata dal miliardario principe saudita Alwaleed bin Talal. L’anno scorso, una causa ha rivelato come Twitter fosse complice della repressione del principe ereditario Mohammed bin Salman nei confronti di dissidenti e critici del regime.

Il fatto che diversi miliardari si avvicendino alla leadership farà molta differenza? La risposta probabilmente è no, proprio come il Washington Post non è cambiato radicalmente dopo che il collega miliardario della tecnologia di Musk, Jeff Bezos, l’ha acquistato. Ma la Silicon Valley deve essere entusiasta del fatto che è l’unica domanda che ci stiamo ponendo in questo momento cruciale. Alcune aziende Big Tech, comprese le società di social media, hanno speso 70 milioni di dollari per fare pressioni sul governo federale nel 2021. Di fronte a un moto di indignazione sulla libertà di parola online, Washington non ha proferito parola sulla rottura dei monopoli molto redditizi di Facebook e Twitter sull’economia dell’attenzione.

Le aziende del settore tecnologico traggono vantaggio dalla convinzione che il problema principale dei loro prodotti sia che alcune persone non li usano correttamente. Ciò porta inevitabilmente a una discussione sulle moderazioni illuminate incaricate di premiare i buoni e punire i cattivi.

Il rumore attorno a Musk nasconde una discussione più approfondita sulla costruzione di reti di social media democratiche, che potrebbero promuovere un’interazione umana più positiva o costruttiva e alimentare i nostri angeli migliori invece dei nostri demoni più oscuri. Meglio ancora, potremmo parlare di reclamare la sfera pubblica svuotata del mondo fisico, dove la libertà di parola è più libera.

Invece, pare che il «posto infernale», come viene spesso soprannominato, sia destinato a rimanere per sempre l’epicentro della comunicazione umana, e noi siamo capaci di fare poco più che discutere su chi merita di essere cacciato dalla piattaforma altrimenti indiscussa. Sembra che gli utenti di Twitter siano collettivamente vincolati da Prometeo, eternamente condannati a digitare sulle nostre macchine della miseria 280 caratteri alla volta poiché il logo dell’uccello di Twitter ci mangia il fegato ogni giorno. Se sei d’accordo, per favore ritwitta.

*Ryan Zickgraf è un giornalista, vive in Alabama e dirige Third Rail Mag. Questo articolo è uscitosu JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.

 

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