La senatrice M5S Barbara Floridia si affaccia in Transatlantico, in cerca del capogruppo Stefano Patuanelli. «Mi sento la febbre, devo andare a prendere qualcosa di “strong” in farmacia…non sto fingendo eh!». In casa 5 stelle l’aria è questa. Si attende la prima chiama della fiducia sul decreto sicurezza bis per capire fin dov’è arrivata l’opera di persuasione dei vertici. Che è stata incessante, continua e di cui si è dovuto occupare lo stesso Luigi Di Maio. Il vicepremier finge non ci siano problemi, non si presenta a Palazzo Madama per assistere al trionfo dell’alleato-rivale, preferisce incontrare le parti sociali con il premier Giuseppe Conte, ma è informato minuto per minuto di chi vota sì e dei cinque che decidono invece di restare fuori dall’aula. Allargando pericolosamente l’area del dissenso interno al Movimento, che al Senato non può permettersi nuove espulsioni.
Il capo politico ha ricevuto ieri mattina il senatore no Tav Alberto Airola. Poi Mario Giarrusso, Lello Ciampolillo, Michela Montevecchi. Era certo di averli convinti tutti, ma aveva chiesto di tenerli d’occhio. Ancora alle sei di sera, un esponente del direttivo si faceva largo: «Devo andare a parlare con Giarrusso, lasciatemi passare», come se coccolare la vanità del senatore siciliano fosse — nella giornata di ieri — la missione più importante del mondo.
«Non dobbiamo dare alibi a Salvini — spiega il vicepremier M5S a quelli che incontra — abbiamo tante cose da portare a termine. Far cadere adesso questo governo, consentendo alla Lega di dare la colpa a noi, sarebbe un danno per tutto il Movimento. E cosa porterebbe? Arriverebbe un governo peggiore». Poi aggiunge: «Vedrete, da settembre ci saranno molti cambiamenti». Sembra alludere al “rimpasto”, che ormai tutti prevedono in arrivo subito dopo l’estate, ma non va oltre. Invece ascolta, Di Maio: i bisogni, il desiderio di incidere di più, i problemi sul territorio. «Abbiamo parlato anche dell’Alta velocità e della situazione a Torino — racconta Airola — certo, i no Tav li abbiamo persi, andati, ma io mi batterò fino alla fine perché quest’opera non si faccia».
In aula, il deputato piemontese rispolvera la celebre definizione dell’ex ministro socialista Rino Formica: «La politica è sangue e merda. È, per gli uomini, il terreno di scontro più duro e spietato». Quindi, parla della necessità dei compromessi, del dovere di dire sì alla fiducia perché il sicurezza bis «in definitiva non è l’Anticristo dei decreti». «Bravo Alb», gli urla Gianluigi Paragone. Airola si dice certo che per le navi che salvano migranti alla fine non ci saranno conseguenze, che la legge entrerà in conflitto con altre, che per le manifestazioni ci si accorderà. Quindi dice sì, come Giarrusso. Mentre restano sulle loro posizioni sia Ciampolillo che Montevecchi. E non hanno mai dato segni di voler cambiare idea né Elena Fattori, che pure ha deciso di non fare dichiarazioni, né Matteo Mantero e Virginia La Mura. Sono i tre che con Paola Nugnes e Gregorio De Falco, ora espulsi, non avevano votato neanche il primo decreto sicurezza. Gli irriducibili, con cui Di Maio non ha neanche voluto parlare.
La Mura resta seduta per un’ora accanto al busto di Giuseppe Mazzini a rileggere appunti. «Voglio credere ancora in questo gruppo — spiega — ma dobbiamo maturare. Capisco il rodaggio, che stare al governo per noi sia difficile, ma è passato più di un anno». Alla fine annuncia con un comunicato: «Non voto un decreto che va contro qualsiasi principio umanitario. Nessun emendamento migliorativo è stato preso in considerazione, io a questo modo di lavorare e di rappresentare le istituzioni democratiche non ci sto». Insieme a lei, Matteo Mantero esce dall’aula subito prima che cominci la chiama. Evita i cronisti, ma affida a Facebook un attacco alla Lega che si conclude con le ragioni della sua scelta: «Oggi la Lega vuole che diciamo No al diritto dei cittadini di manifestare liberamente il proprio dissenso inasprendo in maniera incongrua le pene per i manifestanti, rischiando di sdoganare fatti come quelli avvenuti alla scuola Diaz a Genova; vuole che diciamo No a chi soccorre bambini, donne e uomini che rischiano di annegare in cerca di una speranza». Poi conclude, ben sapendo che nessuno raccoglierà il suo appello: «Credo che sia ora di mettere un limite alla strafottenza della Lega che con i suoi no e i suoi diktat si comporta come fosse sola a decidere».