di Pierluigi Piccini
Abbiamo già detto che Valentini gestisce la cultura come un contabile, ci ha fatto eco lo storico dell’arte Tomaso Montanari definendo parrocchiale la programmazione delle politiche culturali in riferimento al Santa Maria della Scala, ma ci rendiamo sempre più conto che la mancanza maggiore del sindaco Valentini proviene dall’incapacità di vedere Siena come una grande città d’arte ed alla cultura come ad un reale volano non soltanto economico ma anche professionale e formativo. Per Valentini Siena è un paese da qui le sue proposte culturali gestite come una sagra. Anche quello che già esisteva ed aveva fatto grande la città lui lo ha trasformato in sagra di paese, con faciloneria ed alti livelli di approssimazione. Soprattutto senza investire risorse su professionalità certe, umiliando gli operatori culturali e dando ampio spazio all’amatorialità.
Esiste infatti uno scollamento, colossale, tra l’immagine che i senesi hanno della propria città e ciò che oggi, Siena, è dal punto di vista culturale nell’immaginario collettivo e soprattutto nei fatti. L’amministrazione Valentini ha parcellizzato gli investimenti culturali, rendendosi latitante proprio nella formazione e nella produzione di nuovi operatori ed operatori indipendenti. Se cioè da un lato si sono investite risorse in grandi eventi in cerca di risonanza non si è fatto lo stesso con una progettualità di lungo periodo e soprattutto non si sono aiutate le tante esperienze che sono nate sul nostro territorio e che si stanno confrontando con il resto del mondo.
Gli operatori alcuni anni fa chiedevano a Valentini spazi performativi e di confronto, a questa richiesta l’unica risposta è stato l’affitto dell’auditorium di Sienambiente per una cifra che supera i 60 mila euro ma che non poteva essere a disposizione degli operatori nei fine settimana o in orari serali e naturalmente non per tutti i 365 giorni dell’anno. Uno spazio inadeguato per il quale è stata sanata in corso d’opera anche la mancanza di agibilità di pubblico spettacolo. Uno spazio quindi costoso, inadeguato e di fatto inutilizzato.
Approssimazione. Questa la parola chiave nelle idee culturali per la città. Un’amministrazione ed una Giunta approssimativi che non pensano alle necessità programmatiche ed economiche di chi si carica il peso di proporre e promuovere cultura nella nostra città. L’arte contemporanea è praticamente scomparsa, lasciata in carico alle esperienze di privati che da parte del Comune non ottengono neppure la giusta considerazione e comprensione, penso alle esperienze formative e residenziali del Siena Art Institute o le proposte di Itinera e Fuori Campo, l’esperienza del mecenatismo di contrada avviato dai Battilana, Il Museo d’Inverno, Inner Room, l’idea di Sussurri alla bottega Sator o il lavoro costante ed – immagino – in salita delle nuove gallerie fotografiche Ph Neutro e Lombardi.
Chi propone linguaggi contemporanei nelle arti è tagliato fuori senza la possibilità di programmare a medio termine e chi svolge professionalmente questo tipo di attività non può fare proposte di piccolo cabotaggio: il Comune si accontenta di una proposta modesta, magari riciclata di anno in anno, ma l’operatore professionista non può associare il proprio percorso artistico a questo tipo di proposta ed il risultato conseguente è una separazione netta tra il Comune e gli operatori. Saliranno così le scale del palazzo solamente gli amatoriali, che hanno proposte anch’esse interessanti ma che non contribuiscono alla crescita economica del settore cultura. E che anzi non confrontandosi più con una selezione più meditata e con una proposta innovativa ed internazionale perderanno la possibilità di crescita formativa che invece è per loro importante come l’ossigeno.
Questo è il cortocircuito che negli ultimi anni ha messo in ginocchio l’immagine e la proposta culturale di Siena. Pensiamo alla tanto celebrata kermesse “Siena Città Aperta”, un cartellone di affastallamenti che mettevano assieme e con la stessa rilevanza proposte oggettivamente amatoriali e provinciali con visioni di ben più ampio respiro, stesso ragionamento possiamo farlo con l’esperienza di Siena Capitale Italiana della Cultura 2019, dove l’investimento ministeriale è stato ridotto in mille rivoli che non hanno saputo produrre nulla di veramente innovativo, proprio perché parcellizzato in tanti micro-eventi dallo spessore e dal valore fortemente diverso.
Il problema si riverbera nel futuro, avremo sempre meno curatori formati nella nostra città, perché sempre di meno si comprenderà il loro ruolo ed il loro valore perché la Giunta Valentini ha fatto credere che l’utilità di un curatore sia semplicemente quella di riempire un cartellone, cosa che può fare direttamente un assessore, un dirigente, un direttore museale o un sindaco. Senza conoscenze, lontani da una formazione continua e da un confronto coi linguaggi contemporanei europei.
Quello dei ruoli infine è un altro problema fondamentale, chi è che decide la politica culturale senese? A chi è in mano la proposta pubblica in questo settore fondamentale? L’assessora alla Cultura? Vero, ma con alcune non trascurabili limitazioni: Santa Maria della Scala (in mano al sindaco) e tutto ciò che ha a che fare con la via Francigena, non considerata un bene culturale ma turistico. Il sindaco quindi? Vero, ma il Santa Maria della Scala ha un direttore a cui è stato appena rinnovato il contratto, sarà dunque lui a proporre almeno dentro quelle mura in piazza Duomo. Vero in parte, perché anche il concessionario, Opera Laboratori Fiorentini, ha questo potere/dovere. Da questa confusione autoriale e di situazione non può che nascere qualcosa di molto piccolo, episodi che poco hanno a che fare con l’immagine di città d’arte che Siena ha conquistato nei secoli. E noi ci troviamo a fare da pubblico a piccole idee di volta in volta realizzate in modo semplicistico e soprattutto non professionale, che puntano a massimizzare nell’immediato riempiendo una sala piuttosto che formare una classe futura in grado di proporre e comprendere una politica culturale degna della nostra città e dei senesi.
Da questa visione piccina della città una delle maggiori vittime è la formazione professionale dei giovani, ma anche degli insegnanti e degli studenti delle nostre scuole e soprattutto la creazione di economie basate sull’arte e la cultura. Questo vale per i (non più) tanti artigiani della città che hanno cercato di portare avanti le esperienze delle botteghe artigiane anche attraverso idee e linguaggi innovativi (penso ai decoratori, incisori, pittori ma anche stilisti, sarti o designer) e vale soprattutto per tutti quei lavori che una città come Siena potrebbe sviluppare e che colpevolmente non stiamo facendo. Intendo la creazione di professionalità nuove che partono dal mondo dell’arte o dei libri, della conservazione, la digitalizzazione ed il restauro, ma anche possibilità di sviluppo per curatori o allestitori di mostre, strade queste fino ad oggi ignorate.
L’affanno degli operatori indipendenti
La mancanza di competenza di questa amministrazione in ambito culturale è forse uno dei principali problemi. Perché l’incompetente cosciente di esserlo rimanda ogni decisione, non prende parte, preferisce non compiere scelte ma mantenere il potere. Come? Finanziando, poco, tutti. La kermesse di Siena Città Aperta ne ancora una volta un esempio: chiunque può partecipare ed ottenere una cifra minima di co-produzione indipendentemente dalla qualità della proposta o delle reali spese sostenute. Ma vediamo i singoli settori, quelli che pomposamente l’assessore Vedovelli aveva chiamato Tavoli della Cultura oggi utilizzati solo come un tavolo di concertazione tra assessore ed artisti/operatori. Pensiamo per cominciare alle esperienze nel campo cinematografico: quando Valentini è stato eletto (con il progetto di Casa del Cinema nel programma, che avrebbe dovuto formare pubblico e professioni dell’audiovisivo) c’erano il Terra di Siena Film Festival, Visionaria Film Fest, Campo e Controcampo Storie di Cinema, più una galassia di esperienze meno storiche ma ugualmente forti, oltre ad una mediateca al Santa Maria della Scala gestita assieme a Visionaria che garantiva un afflusso continuo di cortometraggi provenienti da tutto il mondo, tanto da poter diventare un vero e proprio osservatorio internazionale sul linguaggio e gli stili del cinema breve. Oggi Campo e Controcampo ha chiuso i battenti nel disinteresse dell’amministrazione, Visionaria si è dovuta spostare in provincia ed a Siena non realizza neppure la propria rassegna estiva ed il Terra di Siena sopravvive solo grazie al contributo regionale, il comune concede l’uso del cinema Pendola. La vicenda della mediateca è controversa, ma resta il fatto che dopo lo spostamento al San Marco è di fatto chiusa e Visionaria è stata estromessa dalla gestione e dalla progettazione. Adesso il comune investe 11 mila euro per l’open day del complesso di via San Marco dedicato al cinema, in totale assenza di comunicazione con gli operatori che si occupano di questa arte e soprattutto dopo cinque anni di disinteresse verso questo tipo di esperienze. Basti pensare che gli 11 mila euro sono gli unici soldi direttamente investiti in questo tipo di attività nei cinque anni di Valentini.
Nel teatro le cose non vanno meglio. Qua si è pensato ad una distribuzione a pioggia di risorse, che non ha preso in considerazione né la qualità artistica né la progettazione di lungo termine. Sono state inserite nella stagione teatrale tutte le proposte delle compagnie senesi che ne facevano richiesta e pagate con la stessa cifra indipendentemente dal tipo di spettacolo, dal fatto che fosse una prima o meno, dal fatto di essere un monologo, uno spettacolo composito (venendo meno quindi anche un requisito di messa in agibilità per gli attori), sperimentale o meno e soprattutto senza nessuna valutazione artistica. Uno spettacolo per compagnia, inserito nel cartellone e pagato con i soldi di Fondazione Toscana Spettacolo, senza nessuna scelta o direzione artistica. Inoltre i gruppi teatrali sono diventati oramai un riempitivo per ogni piccolo evento organizzato dall’amministrazione: viene sempre richiesta la loro disponibilità con brevi letture o animazioni teatrali, attraverso quello che può essere considerato un ricatto: come rifiutare di dare una mano – anche se fuori dalla programmazione di una compagnia e spesso senza ritorno economico – a chi poi può aiutarti con spazi e cartelloni? Non dissimile il ragionamento fatto con la danza, dove il tentativo di accontentare tutte le compagnie ha dato l’inevitabile risultato di scontentarle tutte, soprattutto in un settore dove la differenza tra compagnie professionali, scuole e compagnie amatoriali è ben marcata e dovrebbe essere chiara anche per gli amministratori, che invece preferiscono mettere tutti assieme: il festival della compagnia internazionale ed il saggio della scuola di danza. Risultato? Intanto abbiamo perso Ballo Pubblico, il festival di danza contemporanea in spazi urbani organizzato con nomi internazionali dalla compagnia Adarte e dalla sua coreografa Francesca Lettieri. Riguardo alle arti visive, anch’esse occupavano un tavolo agli stati generali del Vedovelli, poco da aggiungere: mancanza totale di sperimentazioni contemporanee ed anzi si tende a far dimenticare quanto la città sia stata lungimirante su questo campo: riduzione della visibilità e dell’autonomia del Museo d’Arte per Bambini, che era una piccola riserva di contemporaneo all’interno del Santa Maria. Damnatio Memoriae per l’indimenticabile esperienza delle Papesse e della sua collezione che ancora oggi è di proprietà – dimenticata – del Comune, con un piccolo percorso sempre dentro al Santa Maria della Scala oggi di fatto dimenticato. L’amministrazione non aiuta questo settore, non lo fa crescere e probabilmente non lo capisce, non si spiega altrimenti il perché di non aver continuato il percorso di Verso, che nel 2015 animò il Santa Maria della Scala o perché il Comune non partecipa al progetto Toscana Contemporanea che racchiude molti operatori senesi dopo che due anni fa confinò giovani street artist in una periferia introvabile, proponendo la loro visione – rivoluzionaria, critica e molto riuscita – sulle mura di un capannone abbandonato senza costruire un circuito che potesse dare loro visibilità. Ci sarebbe poi da citare gli architetti senesi, che hanno partecipato anch’essi alla formazione dei tavoli ed ai loro progetti, portando una visione contemporanea dell’urbanistica e la loro professionalità come allestitori e curatori di mostre, senza però avere indietro nessun riconoscimento concreto da parte dell’amministrazione.
Quello che soprattutto manca, e che gli operatori invocano a gran voce, è uno spazio comune di confronto continuo tra i linguaggi del contemporaneo, momenti in cui si costruisca un circuito virtuoso di scambi dove i professionisti della cultura, dell’arte, dell’architettura possano incontrarsi e collaborare, crescere e formarsi. Quello che era la sala Lia Lapini (un luogo non soltanto performativo ma anche di produzione artistica che doveva essere autogestito dagli operatori senesi), definitivamente chiuso nel periodo commissariale della città e che Valentini malgrado le promesse iniziali e della campagna elettorale, non ha mai ricostituito. Quello che in parte ha fatto la Corte dei Miracoli, che Valentini è riuscito solo in extremis a riaprire, perdendo però per oltre un anno un’esperienza importante ed interessante sul nostro tessuto sociale e artistico. Quello che via via ha promesso ma mai mantenuto, se non con inutili e folli corse di fine legislatura.