In attesa di capire se e quando ci sarà un altro governo, a meno che quello di Draghi resti ancora in carica, due notizie hanno turbato le infondate certezze sul «piano di ripresa e resilienza» (Pnrr) in queste ultime ore. La prima l’ha data l’altro ieri il ministro dei trasporti e infrastrutture Enrico Giovannini: il progetto dei progetti che dovrebbe miracolare il paese non è affatto «blindato» e potrebbe cambiare. Una delle cause sarebbe quella del «forte aumento dei prezzi delle materie prime che metterà sotto pressione gli enti appaltatori e che potrebbe richiedere, a livello europeo e nazionale, un aggiustamento dei Piani presentati l’anno scorso».
L’IPOTESI di Giovannini è stata formulata durante un seminario organizzato dal Cnel sul «Recovery Plan». Tale eventualità è in realtà già prevista «dall’articolo 21 del regolamento Ue 2021/241 che ha istituito il Next Generation Eu» ma contrasta singolarmente con l’atteggiamento tenuto fino ad oggi dalla classe politica che si è articolata in due governi, il «Conte 2» e quello attuale retto dalla maggioranza Frankenstein di Draghi. Il «Pnrr» non è la Tavola della Legge, ma è modificabile in base alla situazione economica. Se così fosse, ha aggiunto Giovannini, allora lo si potrebbe modificare insieme alla «società civile». Qualsiasi cosa questa nozione significhi è comunque il riconoscimento del fatto che il sacro piano è stato blindato non ha previsto, né prevede, una partecipazione democratica. è il risultato di un’elaborazione tecnocratica calata dall’alto.
LA PRIMA ammissione del governo ieri ha portato a una precisazione da parte della Commissione Europea la quale ha fornito nuove indicazioni sul funzionamento di un piano che condizionerà in maniera decisiva tutte le decisioni dei governi prossimi e venturi. Entro il prossimo mese di giugno l’Ue potrebbe procedere ad una parziale modifica del pacchetto di finanziamenti da oltre 190 miliardi di euro, ai quali sono stati aggiunti una trentina da un fondo nazionale. In questo caso dipenderà dal livello di crescita del Pil. Se sarà più alta di quanto preventivato il finanziamento potrebbe essere tagliato fino al 30% del totale. Non è al momento chiaro se la previsione di una crescita superiore al 4%, di cui ha parlato ieri il ministro dell’Economia Daniele Franco sia più alta o poù bassa della soglia di cui parlano a Bruxelles. Dato l’aumento dei prezzi delle materie prime, le incertezze legate alla gestione del Covid in fase Omicron e il rallentamento già preventivato da vari attori la stima potrebbe essere molto più bassa. Del resto lo stesso Fondo monetario Internazionale ha iniziato a parlare negli ultimi giorni di questa prospettiva. In attesa di chiarimenti ieri si è capito che, oltre alle vincolanti condizionalità che questo o un altro governo dovrà rispettare per riscuotere effettivamente i denari dell’Europa, ci saranno altre condizionalità legate all’andamento complessivo dell’economia. In questa nebulosa confusione si ritiene che il governo italiano potrebbe fare scegliere tre strade: chiedere ai guardiani del Recovery un prestito non superiore al 6,8% del reddito lordo nazionale; rivedere il «Pnrr» con un trasferimento di risorse da altri programmi Ue in gestione concorrente, come i Fondi di Coesione; sopperire con risorse nazionali ai mancati importi.
QUESTE voci sono nate nelle ore in cui è più grande la confusione del percorso che potrebbe ancora portare Draghi al Quirinale, e a spacchettare l’attuale maggioranza, non si sa se in un altro governo o verso le elezioni. Certo sembrano funzionali all’ennesima invocazione di un governo «autorevole-con-l’Europa-altrimenti-perdiamo-l’occasione-del-futuro». A tal proposito ci sarà anche qualcuno che evocherà il «pericolo» di un fantomatico fronte dei «paesi del nord» pronti a sottrarre i fondi all’Italia. L’iperattivo Salvini (Lega) ieri non è sembrato cogliere al meglio le voci. «In una fase di crisi geopolitica, energetica, logistica – ha detto – solo ipotizzare tagli ai fondi europei è inaccettabile».