Ambiguità Dem e M5S
Questo referendum è stato un successo. E non solo in Veneto, dove la partecipazione è stata straordinaria, ma pure in Lombardia. Basta guardare i dati dell’affluenza delle ultime consultazioni per rendersene conto. Il 4 dicembre scorso, per il referendum che divise il Paese e causò la cacciata di Renzi, si recò alle urne, dopo sei mesi di campagna elettorale e apparizioni televisive quotidiane dei campioni del Sì e di quelli del No, il 65% dei votanti. Negli ultimi vent’anni solo una volta i plebisciti hanno superato il quorum, nel 2011, quando gli italiani si espressero contro il nucleare, il legittimo impedimento sulle indagini contro le più alte cariche dello Stato e la privatizzazione dei servizi idrici. Ma erano altri tempi, si era in pieno scontro tra la sinistra e Berlusconi, poco prima del golpe che destituì il Cavaliere e insediò al governo Monti, con la benedizione della Merkel. In tutte le altre occasioni, i referendum non raggiunsero il quorum, fermandosi tra il 25 e il 30% dei votanti. Non solo: alle Europee del 2014 votarono solo il 57% degli aventi diritto, ma questo non impedisce a Renzi di (…) segue a pagina 2 segue dalla prima (…) vantarsi ancora oggi, a distanza di tre anni e mezzo, di avere il 41% dei consensi, anche se in realtà solo un 22-23% scarso vota Pd. Bonaccini poi, l’ultimo eroe della sinistra, quello a cui Gentiloni ha concesso la scorsa settimana il via all’autonomia per la sua Regione, in sfregio ai referendum di Maroni e Zaia, è diventato presidente dell’Emilia Romagna con il voto del 19% del corpo elettorale. Alla luce di tutto questo, il dato di ieri è più che confortante, specie se si considera che solo il centrodestra, e neppure tutto, ha fatto campagna elettorale per il voto. Cinquestelle muti, il Pd ha sabotato, Mdp è scomparsa, Fratelli d’Italia si è divisa. Ai seggi si sarebbe potuta recare più gente se il Pd non avesse tradito i propri elettori e i propri amministratori locali. Il referendum infatti ha mandato in cortocircuito il Pd: sindaci e presidenti di provincia lombardi e veneti si sono espressi a favore, non potendo giustificare un no di fronte ai propri concittadini e ingolositi dai vantaggi che l’autonomia porterebbe loro. Ma a livello nazionale il partito non li ha sostenuti. CALCOLO SBAGLIATO Dai costi del referendum, dovuti solo al fatto che il governo ha rifiutato l’election day con le Amministrative, alla sua presunta inutilità perché l’autonomia può richiedersi anche senza plebiscito, fino al finto allarme secessione, i Democratici, che pure a parole avevano lasciato libertà di voto, nei fatti le hanno provate tutte per sabotare la consultazione, inventandosi di sana pianta argomentazioni improbabili per tenere gli elettori lontani dalle urne. Un’altra volta i Dem hanno dato prova di non capire la gente. Troppo distanti e presi dai loro giochi politici. L’unica ragione dell’atteggiamento della sinistra infatti è politica: al Pd scocciava che un’iniziativa partita da due governatori leghisti avesse successo e potesse fare da traino per le prossime elezioni. I Dem hanno spostato sul piano politico e dell’interesse di bottega una battaglia amministrativa e costituzionale fatta in nome di tutti i cittadini da due Regioni che all’Italia hanno sempre dato sangue e denaro. Non è escluso che, alle Politiche di primavera e alle prossime amministrative, Renzi e compagni paghino dazio a questo. Specie se i cittadini lombardi e veneti si segneranno bene i nomi dei politici che hanno disertato le urne. Primo fra tutti, il sindaco di Milano, Beppe Sala, che a parole si è espresso per il referendum, ma poi si è infilato sul primo volo per Parigi con la scusa di un vertice internazionale che non avrebbe sofferto se il sindaco si fosse presentato con un’ora di ritardo per recarsi prima al seggio. NOMI DA SEGNARSI Ricordatevi di tutti quelli che non hanno detto Sì all’autonomia, quando mendicheranno il vostro voto per andare a Roma in Parlamento o a Palazzo Lombardia o a Palazzo Balbi, a Venezia. State certi che, se eletti, non metteranno mai al primo posto l’interesse della propria terra e di chi la abita ma si presteranno a fare la pedina del Renzi, del Gentiloni o del Sala di turno. La scelta tra il servizio all’elettore e il servilismo politico l’hanno fatta ieri, optando per il secondo e restando a casa. Che non ci vengano a dire un domani di non avere i soldi per soddisfare le esigenze dei cittadinicontribuenti. E soprattutto, che abbiano la coerenza e la dignità di presentarsi in altri collegi. Non a Milano, Bergamo, Vicenza, Treviso, città delle quali non hanno ritenuto di tutelare gli interessi economici. Chiedano voti altrove: in Calabria, Campania, Basilicata, nelle Regioni alle quali hanno, con la loro assenza dai seggi, cercato di garantire privilegi e denaro a pioggia. Smettano anche loro di poppare dalla mammella che ieri hanno cercato di azzannare. Altro ragionamento ha fatto Silvio Berlusconi, che pur raccogliendo con Forza Italia la maggior parte dei voti al Sud e al Centro, non ha avuto paura di schierarsi per il Sì. Ha dimostrato ancora una volta di saper ragionare in grande, di badare all’interesse complessivo infischiandosene che esso coincidesse con quello della Lega, partito rivale nel centrodestra. È stato lombardo con i lombardi, veneto con i veneti, così come è italiano con gli italiani. Anche per questo non si è curato delle lamentele e delle preoccupazione dei forzisti meridionali, sapendo spiegare anche a loro le ragioni del referendum. Questo gli permetterà di incassare al Nord, dove Forza Italia è in crisi di numeri, un dividendo elettorale fino a ieri insperato. Infine, i governatori Maroni e Zaia, i promotori della consultazione, quelli che ci hanno creduto per primi e più di tutti. Entrambi escono rafforzati dalla consultazione agli occhi dei propri elettori e di quanti, pur non leghisti, sono andati al seggio a votare Sì. Per la prima volta nella storia della Repubblica hanno dato l’occasione a una dozzina di persone di esprimersi contro la voracità del centralismo statale e per una maggior autonomia dei propri territori, il che significa per la libertà. Non è poco. BUON VIATICO Già da oggi ci auguriamo che avviino le pratiche previste dalla Costituzione per chiedere, in quanto alla guida di Regioni virtuose, più autonomia nelle 23 materie previste dalla Carta. Se Gentiloni la settimana scorsa ha accolto a Palazzo Chigi il presidente dell’Emilia Romagna, Bonaccini, per iniziare l’iter autonomista, non si vede perché non debba fare altrettanto con Lombardia e Veneto. Il 40% di Maroni e il 60 % di Zaia, dati approssimativi, sono più dello 0% con il quale si è presentato Bonaccini a Roma ottenendo udienza. Guarda caso, prima volta che accade a un governatore che chiede l’autonomia. Comunque sia, questa consultazione oltre a essere un primo passo verso l’autonomia, costituisce un buon viatico per l’appuntamento elettorale di primavera. Non sostenendo il voto, la sinistra in Lombardia e Veneto si è indebolita. Nessuno di coloro che non sono andati a votare è rimasto a casa in odio all’autonomia della propria Regione, alla quale in Lombardia sono favorevoli sette cittadini su dieci. Essersi battuto per essa resta un vanto del centrodestra nei confronti di ogni elettore lombardo e veneto, di qualunque fede esso sia e per qualsiasi ragione ieri non si è recato al seggio. Figurarsi per quelli che invece ci sono andati.
Libero – PIETRO SENALDI – 23/10/2017 pg. 1 ed. Nazionale