VALERIA STRAMBI
Lo storico Tanzini ripercorre le vicende dello shock finanziario che mise in ginocchio prima le banche che avevano conquistato l’Europa e poi la città. Tutto nacque dal re inglese che decise di non onorare il debito…
Firenze, marzo 1345. Proprio in quei giorni avviene la congiunzione di Saturno e di Giove: circostanza funesta per chi legge le stelle. Con un quadro astrale simile si sono verificati alcuni degli eventi più clamorosi del passato: dalla discesa di Carlo d’Angiò in Italia allo scoppio delle Crociate, senza dimenticare la fine dell’Impero romano d’Occidente. Quella che si era guadagnata lo scettro di città simbolo della cultura e dei commerci, si preparava così a vivere il più grande crack finanziario della sua storia.
Prende le mosse da una citazione di Giovanni Villani, lo scrittore dal forte senso pratico che però credeva agli oroscopi, l’ultimo lavoro di Lorenzo Tanzini, docente di Storia medievale all’Università di Cagliari. Con 1345. La bancarotta di Firenze. Una storia di banchieri, fallimenti e finanza (Salerno Editrice) il professore fiorentino ripercorre le tappe, gli intrecci e i giochi di potere di un anno che cambiò completamente la fisionomia della città. «Le compagnie fiorentine erano, almeno dall’inizio del secolo, una presenza immancabile in tutte le piazze commerciali d’Europa scrive Tanzini in un racconto ricco di dettagli tecnici, ma anche appassionato, a metà tra saggio e romanzo – le tre maggiori società bancarie del tempo (Bardi, Peruzzi e Acciaiuoli) avevano esercitato per decenni il monopolio delle operazioni finanziarie della Sede Apostolica, il più grande complesso amministrativo della Cristianità, e avevano fornito credito ai regni d’Inghilterra, di Francia, di Sicilia, fino a costituire la linfa della vita politica europea, il carburante per le grandi imprese belliche del tempo». A un certo punto questo equilibrio si incrina. A innescare la miccia che mise in discussione la fortuna di Firenze fu un episodio preciso: il re d’Inghilterra Edoardo III decise di non rimborsare gli enormi prestiti contratti presso le compagnie dei Bardi e dei Peruzzi (si trattava di una cifra che sfiorava il milione e mezzo di fiorini, l’equivalente di circa cinque tonnellate d’oro). Anzi, il sovrano li accusò addirittura di aver violato i propri impegni verso la corona. Da qui ebbero inizio una serie di fallimenti a catena delle principali banche fiorentine che finirono per coinvolgere anche il Comune, non più in grado di restituire ai cittadini le imposte pagate in forma di prestiti.
Sembrava la fine di tutto, la bancarotta, il fallimento. Eppure è proprio nella difficoltà più nera che inizia un gioco di specchi fatto di riforme fiscali e strategie, di presa di responsabilità e di fiducia, data e ricambiata. La nascita di un sistema di debito pubblico (chiamato non a caso “Monte”) diventa così la chiave per il finanziamento della Repubblica e per l’uscita dalla crisi fino ad affacciarsi a quel Rinascimento che promette nuovo splendore.
Centosettanta pagine da assaporare una a una, da leggere e studiare, lente d’ingrandimento sul passato ma anche metafora di un presente che avrebbe molto da imparare.