di Paola Profeta
L’Istat ha pubblicato i dati su occupati e disoccupati di febbraio. Allarmanti i dati sul lavoro delle donne: il tasso di occupazione femminile, pari al 46,8%, si riduce dello 0,2% rispetto al mese di gennaio, mentre quello di disoccupazione aumenta dello 0,3%. Entrambi i dati sono in controtendenza rispetto alla stabilità registrata per i valori maschili.
Perché allarmanti? Il tasso di occupazione femminile è inchiodato ormai da anni al 46%-47%, oscillando solo di qualche decimo da una rilevazione Istat a quella successiva. È il tasso più basso in Europa, seguito solo da quello della Grecia e di Malta. È un valore rimasto fermo a quello del 2007, prima della crisi, dopo decenni di costante sia pur lentissima crescita. Nessuna sorpresa, quindi, ma la conferma, questa volta, sembra più pesante del solito, perché si confronta con una situazione del mercato del lavoro maschile che, dopo aver visto un notevole peggioramento negli anni della crisi economica, oggi mostra stabilità e qualche tentativo di risollevarsi. Nell’ultimo anno il tasso di occupazione maschile è aumentato di 0,4 punti percentuali, mentre quello femminile solo di 0,1, con una caduta nell’ultimo trimestre. Il tasso di disoccupazione maschile è diminuito di 0,3 punti percentuali, mentre quello femminile è aumentato di 0,9. È vero che l’aumento della disoccupazione femminile potrebbe segnalare un maggior numero di donne in cerca di occupazione, donne che prima neanche provavano a cercare lavoro. Ma non possiamo certo considerare questo un buon risultato.
Allarme, quindi, almeno per due motivi. Primo, se fino a ieri potevamo pensare che la crisi avesse colpito il mercato del lavoro, senza tuttavia peggiorare i divari di genere (già molto elevati), oggi siamo meno ottimisti. Secondo, se stavamo aspettando segnali di ripresa sul mercato del lavoro, dobbiamo registrare che per le donne purtroppo non se ne vedono.
Eppure i tassi di istruzione femminile continuano ad aumentare, e le performance delle ragazze sono sempre in miglioramento (voto di laurea, durata degli studi, formazione post-laurea). Se solo riuscissimo a trasferire le potenzialità delle donne italiane nel nostro mercato del lavoro, apriremmo la strada a nuove e ambite opportunità di crescita.
L’allarme deve servire per invertire con determinazione la rotta. I dati suggeriscono che esiste una specificità del mercato del lavoro femminile, i cui trend non sono necessariamente gli stessi di quelli del mercato maschile. Una riflessione specifica sul lavoro delle donne, accompagnata da una corretta informazione, è necessaria ora, senza sprecare altro tempo. Partiamo dal nodo della maternità: la scelta di restare a casa ad occuparsi dei figli dopo la nascita piuttosto che tornare al lavoro, rinunciando allo stipendio (o ad una gran parte di esso) ma evitando di affrontare le spese per la cura dei bambini si trasforma presto in abbandono definitivo. Incentivi monetari o fiscali per le donne che tornano al lavoro dopo il periodo di maternità obbligatorio, evitando un distacco troppo lungo, potrebbero andare nella direzione giusta, soprattutto se erogati in presenza di una spesa effettivamente sostenuta. Ma i dati dell’Istat non sono solo il risultato del comportamento delle donne: per aumentare il tasso di occupazione femminile occorre incentivare anche la domanda di lavoro da parte delle imprese.
Riuscirà il Jobs act a tenere conto delle specificità e delle opportunità che il lavoro femminile presenta, e a rispondere all’allarme di oggi? La determinazione nel concretizzare alcune misure rimaste in agenda, come gli incentivi fiscali, l’integrazione dell’offerta di servizi per la prima infanzia e la promozione della flessibilità degli orari e dei tempi di lavoro è essenziale per invertire la rotta.
Docente di Scienza delle Finanze all’Università Bocconi