di Mauro Magatti
L’ultima ricerca, pubblicata qualche giorno fa, dell’ Ipsos su democrazia e corpi intermedi conferma la fragilità del nostro sistema istituzionale. Due intervistati su tre dichiarano infatti di essere favorevoli a cercare «un modo migliore per governare l’Italia oggi».
Rafforzando tendenze già esistenti prima del Covid, la sfiducia verso le istituzioni aumenta fino a diventare largamente maggioritaria col crescere del livello di insicurezza personale, causata dalla compresenza di una serie di fattori: instabilità lavorativa, basso livello di istruzione, marginalità territoriale, qualità della vita affettiva e relazionale. Con punte che si raggiungono nella fase centrale della vita (30-50 anni): in un Paese come l’Italia, a bassissima crescita ormai da molti anni, sono tanti coloro che hanno perso la speranza che le istituzioni politiche (ma anche le associazioni di rappresentanza, a cominciare dai sindacati) possano portare qualche beneficio alla loro vita personale.
Ciò che si lamenta è l’assenza di un filtro rispetto ai potenti e imperscrutabili processi a cui molti si sentono esposti. Domanda di protezione che, pur non essendo priva di ambiguità, ha le sue ragioni, che non sono però mai state pienamente riconosciute. A questa domanda si tende a rispondere col mantra della crescita. Senza capire che l’insoddisfazione di molti è dovuta proprio alla ripetuta frustrazione di non vedere corrisposta quella promessa di prosperità così insistentemente ripetuta.
In questo quadro diventano attraenti risposte più o meno semplicistiche. Che ruotano intorno alla democrazia diretta — a cui guarda con favore quasi il 70% degli italiani — o all’idea dell’uomo forte. Insomma, sono le istituzioni della mediazione — quelle su cui si basano le nostre democrazie — che incontrano sempre minor favore. Troppo lente, troppo inefficaci, troppo costose.
Lo hanno documentato le ultime elezioni regionali: in modo del tutto indifferente rispetto alla collocazione destra-sinistra, tanto al Nord quanto al Sud, a vincere — anzi stravincere — sono stati candidati presidenti che, rispetto al proprio elettorato regionale, sono diventati punto di riferimento in grado di attenuare questo senso di smarrimento.
E ciò senza una relazione precisa tra questo senso di rassicurazione e la capacità effettiva di realizzare una efficace azione di governo. Come a dire che non è affatto automatico che la risposta alla domanda di sicurezza venga cercata (e almeno in prima battuta trovata) in una logica di funzionamento e buon governo. Ugualmente (e in alcuni casi) più importante è anche una logica di appartenenza e riconoscimento.
Spirale
La situazione peggiora con il Covid, perché è proprio il senso di incertezza che aumenta. Con conseguenze
che meritano di essere considerate
È chiaro che queste tendenze sono destinate a rafforzarsi col Covid, dato che è proprio il senso di insicurezza che cresce. Con conseguenze che meritano di essere considerate.
Nella scorsa primavera, l’importanza di una politica in grado di contrastare un nemico imprevisto e imprevedibile è stata immediata e universalmente riconosciuta. E, nel quadro dell’emergenza, il governo ha avuto la possibilità di giocare la carta della protezione, con un forte aumento dell’indebitamento. Come ha documentato il recente rapporto dell’Asvis, le misure fin qui adottate dal governo sono state per due terzi di tipo protettivo, mentre assai più contenuto è stato l’impegno nelle politiche di adattamento e di trasformazione.
Ora, però, il prolungarsi della crisi cambia lo scenario. Mentre la domanda di protezione non è affatto destinata a ridursi, diventerà sempre più difficile riuscire a garantire un ombrello per tutti. Il tema della asimmetria dei costi di aggiustamento — il fatto cioè che non tutti sono ugualmente esposti alle conseguenze della crisi pandemica — non potrà più essere eluso: mentre alcuni settori (per esempio i dipendenti pubblici) sono sostanzialmente protetti e altri hanno addirittura guadagnato (per esempio i settori medicale e digitale), ci sono comparti — a partire dal turismo e dal commercio e buona parte del lavoro indipendente — che si confrontano col crollo verticale del reddito. Né, si deve aggiungere, i cittadini si trovano tutti nella stessa condizione patrimoniale. Una frattura che, ricalcando tra l’altro gli orientamenti politici destra-sinistra, è destinata ad aumentare lo scetticismo nei confronti dell’azione di governo.
D’altra parte, col prolungarsi della crisi, la semplice protezione dovrà essere superata. Anche perché l’accesso alle risorse europee è vincolato all’adozione di politiche trasformative che peraltro tendono a portate effetti nel medio termine e a beneficiare più alcuni gruppi che altri. Col rischio di una politica sempre più lontana dalla realtà di molti elettori, che si troveranno ad affrontare problemi estremamente concreti e urgenti. È dunque questo il dilemma politico che il governo dovrà tentare di risolvere nei prossimi mesi: come intraprendere la via delle riforme — sapendo che solo in questo modo l’italia può tornare a guardare al futuro — quando una quota molto grande della popolazione italiana chiede solo di essere protetta?
In questa situazione tracciare una via — vitale per la democrazia italiana — è molto difficile e comunque comporta riuscire a realizzare un qualche punto di equilibrio tra l’autorevolezza istituzionale (compattezza politica e leadership chiara, in grado di trasmettere il senso di una visione a garanzia di tutti) e l’efficacia dell’azione (sia sul lato protettivo che trasformativo).
Estremismi
In una comunità polarizzata possono emergere forze
che pensano di guadagnare spazi sfruttando il caos
Facile a dirsi, difficilissimo a farsi. Tanto più che, allo stato attuale, è assai arduo essere ottimisti sul fatto che la maggioranza di governo sia davvero consapevole della portata della sfida.