L’impasse di Facebook va al di là delle difficoltà in borsa, anche se certo la pesante perdita subita a fine luglio (‑20%, con oltre 120 miliardi ‘bruciati’, il peggiore tonfo dopo le drammatiche vicende legate allo scandalo Cambridge Analytica della primavera scorsa) ha segnato una pietra miliare in negativo che sarà complicato ammortizzare, da molti punti di vista. Il repentino calo in borsa, legato alla presentazione della seconda relazione trimestrale, sembra sproporzionato rispetto ai numeri, che sono comunque in crescita e che, al di fuori del ristretto giro di colossi economici, appaiono da capogiro: ricavi per 13,2 miliardi di dollari, con un aumento del 42% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e utili per 5,1 miliardi di dollari.
Il punto è che i risultati sono stati inferiori alle aspettative e che le proiezioni per la restante parte dell’anno non sono esaltanti; a questo si aggiunge la preoccupazione rispetto al numero degli utenti. Se è vero infatti che complessivamente il numero è aumentato (i profili attivi ogni mese sono stati 2,23 miliardi e ogni giorno si connettono a Facebook 1,47 miliardi di utenti) anche in questo caso i numeri non hanno corrisposto alle previsioni e soprattutto la distribuzione dell’utenza si rivela non favorevole all’azienda; gli iscritti sono rimasti praticamente stabili in Nord America e sono un po’ diminuiti in Europa, aree nelle quali Facebook ottiene rispettivamente circa 25 dollari e circa 9 dollari per utente dalla pubblicità, mentre sono cresciuti in zone al momento non strategiche nelle quali un utente ‘vale’ rispetto alla pubblicità poco meno di 2 dollari.
Parte della flessione in Europa potrebbe essere imputabile all’entrata in vigore del GDPR (General Data Protection Regulation), il nuovo regolamento sulla privacy che ha imposto regole più stringenti nell’uso dei dati e che richiede un consenso più esplicito e consapevole da parte degli utenti; e si attende di sapere quali potrebbero essere le conseguenze del provvedimento sul copyright che ha suscitato molte polemiche e proteste (tra cui l’auto-oscuramento della Wikipedia italiana), la cui definitiva approvazione è stata rimandata a settembre.
L’immagine di Facebook è rimasta comunque appannata dopo la tempesta Cambridge Analytica, Zuckerberg, non è risultato del tutto convincente, i numeri rispecchiano il momento di incertezza, ma a destare ulteriori perplessità sono anche altre considerazioni: Facebook non è un social per giovani. Il popolo degli iscritti sta invecchiando: negli Stati Uniti le fasce d’età tra i 12 e i 17 anni e tra i 18 e i 24 anni registrano un calo sensibile, e anche in Italia il 53% degli utenti è over 35. La perdita di interesse da parte dei più giovani nasce anche dal fatto che Facebook ospita profili di persone di tutte le età (tra cui spesso anche i genitori, presenze ingombranti), cosicché i ragazzi non amano più molto questo strumento percepito come ‘vecchio’ e si orientano su altre soluzioni più ‘veloci’ e puntate sulle immagini come Instagram o Snapchat.