di Luigi Ferrarella e Fiorenza Sarzanini
Oggi l’interrogatorio di Storari. Il nodo della competenza
La guerra tra magistrati milanesi sulla gestione dell’inchiesta sulla loggia «Ungheria» va in scena in Procura a Roma. Alla vigilia dell’interrogatorio del pubblico ministero Paolo Storari, indagato per rivelazione di segreto, il suo capo, il procuratore Francesco Greco, consegna agli inquirenti romani la relazione che ricostruisce le tappe degli interrogatori dell’avvocato Piero Amara da dicembre 2019. E accusa proprio Storari di aver commesso un grave reato foriero di un duplice obiettivo: danneggiare gli accertamenti oppure rendere noti i nomi dei personaggi pubblici che Amara accusava di essere componenti della congregazione massonica. Tesi che Storari respinge, sostenendo che la stasi investigativa dei capi avrebbe in realtà danneggiato proprio lui: il quale, sia prima dell’iscrizione di Amara solo a maggio 2020, sia dopo e fino al passaggio di competenza a Perugia, sarebbe riuscito (nell’impossibilità di svolgere alcun incisivo atto di indagine richiedente il via libera dei vertici) unicamente ad ascoltare in estate una quindicina di testi da solo (salvo tre casi in presenza anche di Pedio).
Mentre Perugia ora punta a verificare se esista davvero «Ungheria» e soprattutto se abbia pilotato nomine e affari, tra Milano e Roma si consuma la resa dei conti tra i pm che dal 6 dicembre 2019 interrogavano il legale già condannato altrove per episodi di corruzione di giudici. Amara prospettava l’esistenza di un gruppo di politici, giudici, avvocati, vertici di forze dell’ordine e imprenditori che avrebbe condizionato poteri dello Stato e orientato la scelta dei capi di Procure.
Storari sostiene di avere sin dal primo interrogatorio espresso l’urgenza di concreti accertamenti per discernere in Amara l’eventuale vero (da coltivare per accertare se integrasse anche qualche reato a carico di qualcuno) dall’eventuale falso (da imputargli come calunnia). E motiva così l’aver deciso nell’aprile 2020 di consegnare all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo copia dei verbali pur coperti da segreto. Atti che proprio l’ex segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, è ora sospettata di aver mesi dopo spedito a due giornali e al consigliere Csm Nino Di Matteo con una lettera anonima che tacciava i pm milanesi di non voler indagare. Perciò le viene addebitata l’ipotesi di calunnia, di cui sarebbe dunque parte offesa Greco. Che rivendica la scelta della Procura — condivisa dall’aggiunto Laura Pedio titolare del fascicolo con Storari — di aver svolto accertamenti preliminari con prudenza e cautela. Greco rimarca che Storari si rivolse a Davigo «senza presentare un esposto formale», e lo accusa perciò di «grave scorrettezza». La relazione di Greco, tramite il pg milanese Francesca Nanni, è andata al procuratore generale di Cassazione Giovanni Salvi, titolare dell’azione disciplinare, che ha già avviato un procedimento nei confronti di Storari; e può aprire di fatto la strada a una valutazione di incompatibilità ambientale a Milano.
La versione
Il magistrato indagato dovrà chiarire se ha consegnato le carte
a Davigo a Milano
Storari ha abbandonato un mese fa — dopo aver rivelato a Greco di aver veicolato i verbali segreti — tutte le indagini su Amara, compresa quella sui «depistaggi» dei processi Eni. La sua uscita non è l’unico cambio in corsa attorno all’intricato incastro di puzzle giudiziari. A Roma oggi anche Storari, come già Davigo mercoledì, verrà interrogato dal procuratore Michele Prestipino e dal pm Fabrizio Tucci: non dall’aggiunto Paolo Ielo, che prima di mercoledì risulta essersi astenuto dal fascicolo, probabilmente in ragione dei trascorsi professionali e amicali dai tempi di Mani pulite sia con Davigo sia con Greco.
Oggi Storari dovrà chiarire anche dove avvenne la consegna dei verbali di Amara. Se ribadirà (come mercoledì già Davigo) di averglieli dati a Milano, entrerà in contrasto con quanto invece attestato dalla relazione inviata in aprile da Greco, secondo cui Storari gli disse di averli consegnati a Roma, salvo poi per Greco forse accennargli qualcosa su Milano. Dettaglio tutt’altro che superfluo per decidere chi sia titolato a indagare tra i pm Roma o di Brescia. Fu infatti fu l’elemento «Roma» a fondare la trasmissione dell’inchiesta da Milano a Roma, divulgata il 29 aprile dal congiunto comunicato di Greco e di Raffaele Cantone (procuratore di Perugia che aveva intanto inviato nella Capitale gli atti sulla segretaria di Davigo al Csm). Sicché oggi i pm romani potrebbero trovarsi di fronte a questa alternativa: un capo di Procura che scrive una cosa non vera con l’effetto di radicare una competenza a Roma anziché a Brescia, o un sostituto procuratore che mette a verbale una cosa non vera con l’effetto di radicare una competenza a Brescia anziché a Roma.