Il caso della donazione anonima per il Santa Maria della Scala

Siena pronta ad accogliere opere di Fontana e Vedova. Piccini: «Ma sarebbe permanente…»

Giulia Maestrini

 

SIENA Una voluminosa collezione d’arte contemporanea donata al Comune da un’anonima benefattrice e destinata a occupare, in via permanente, ampi spazi del Santa Maria della Scala: è la trama della storia che irrompe nell’estate senese, in una città semivuota e stordita dal caldo africano.

La mecenate senza nome e l’amministrazione comunale hanno firmato l’atto notarile che formalizza la donazione: 478 opere (della seconda metà del Novecento, per lo più artisti italiani), valutata 1,75 milioni di euro. Con alcune condizioni senza le quali non si sarebbe chiuso l’affare: l’esposizione «unitaria, completa e permanente» della raccolta negli spazi del Santa Maria della Scala, l’incarico curatoriale (35 mila euro in tre anni, poi rinnovabile) ad Alberto Zanchetta, costi di trasporto, assicurazione, allestimento e valorizzazione ovviamente a carico del Comune. Non solo. L’accordo limita il prestito delle opere a soggetti esterni (non più del 3 per cento del totale e per non più di 4 mesi) e impegna il museo a organizzare «una o due mostre monografiche all’anno» sui vari artisti presenti in collezione.

Già, ma quali sono questi artisti? L’elenco è top secret. Si sa che spiccano nomi di livello: Lucio Fontana, Mario Schifano, Enrico Castellani, ma anche Spalletti, Accardi, Rotella, Garutti, Vedova e perfino Keith Haring. Si sa che non molte sono le opere di grandi dimensioni, che ci sono diversi lavori su carta. Il resto è tutto da capire, in primis dove e come saranno allestite.

Il sindaco Luigi De Mossi che ha curato personalmente la conclusione della trattativa (avviata nel 2017 dall’allora direttore del complesso museale, Daniele Pittèri) ancora non commenta: attende che la delibera — già approvata dalla Giunta — passi lunedì anche in Consiglio comunale, dove l’attuale maggioranza può contare su 25 dei 33 voti.

Chi, invece, si è già fatto un’idea è l’ex sindaco e oggi consigliere comunale Pierluigi Piccini che critica, da una parte, la gestione burocratica e, dall’altra, il reale valore culturale dell’operazione. Innanzitutto, chiarisce Piccini, «il Comune deve incaricare un perito, autorizzato secondo la legge, di valutare le opere una per una, certificandone valore, provenienza e stato di conservazione: non ci si può affidare a un’autocertificazione del proprietario donatore».

Ma a suscitare il dibattito più acceso è un altro aspetto ed è collegato strettamente alla collezione e, soprattutto, al luogo che dovrà accoglierla su cui a Siena si discute fin dal giorno in cui cessò di essere ospedale per diventare museo, oltre trent’anni fa. «Il lascito è interessante — aggiunge, infatti, l’ex sindaco — ma molte di quelle opere non sono adatte agli spazi del complesso museale; sarebbe stato meglio accettare una donazione che permettesse di esporre solo i lavori più significativa e conservare gli altra in magazzino, costruendovi intorno progetti di ricerca diversi. Questa idea di esposizione permanente di quasi 500 opere è una concezione vecchissima dell’arte contemporanea e, inoltre, rischia di vincolare per sempre molti spazi del Santa Maria che torna, così, ad essere pensato solo come un contenitore senza identità».