IL BERSAGLIO DRAGHI.

 

Volano gli stracci. Sarà volgare dirlo così, ma non c’è altro modo di descrivere quello che è successo ieri davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche tra i due organi di vigilanza. Volano gli stracci fra Consob e Bankitalia – che per l’appunto dovevano vigilare sugli istituti di credito – ma che purtroppo non si sono capiti bene, che hanno ricevuto comunicazioni l’una dall’altra ma non hanno saputo interpretarle, che anzi no, non hanno ricevuto nessuna comunicazione, che pensavano…, che se avessero saputo avrebbero potuto…
Volano gli stracci e dietro il turbinio di panni sporchi, centrifugati a mille nella pubblicissima lavatrice della commissione parlamentare, si intravede anche qualcos’altro. È la «tentazione», come la chiama chi sa, di tirare in ballo non solo una Bankitalia che ha appena visto confermato tra le polemiche il suo governatore Ignazio Visco e che d’ora in poi rischia di camminare azzoppata, ma anche chi ha guidato lo stesso istituto in anni passati. Dal primo novembre 2011 – e per un anno ancora – Mario Draghi occupa il posto più alto della Banca centrale europea, dove a colpi di ribassi dei tassi e di liquidità facile ha guidato con una mano ferma la zona euro fuori dalle secche della recessione.
Ma c’era lui al vertice di Bankitalia e Anna Maria Tarantola a capo della Vigilanza, quando nel 2008 il Monte dei Paschi di Siena si avventurò, con il placet di via Nazionale, nell’acquisto dell’Antonveneta che sarebbe costato carissimo alla banca e ai suoi azionisti. Non sarà solo un caso, allora: nella sala Tatarella della Camera il 5 Stelle Luigi di Maio, prefatore e presentatore del libro complottardo “Morte dei Paschi” sul tragico e contestato suicidio del capo ufficio stampa della banca senese David Rossi, chiede le dimissioni dei vertici Bankitalia e Consob. E nella saletta della commissione sulle banche – a pochi metri di distanza – un altro 5 Stelle come l’ex capogruppo Alessio Villarosa scrive su Facebook che «chiederò con forza l’audizione» di Draghi, «perché c’è il suo zampino anche nella crisi Mps». Da martedì in commissione si affronta proprio il caso senese.
Anche altri, a partire da Forza Italia, avrebbero buoni motivi per mettere nel mirino il presidente della Bce; magari nella convinzione lievemente paranoica che alla fine del suo mandato l’uomo che ha salvato l’euro possa diventare una “riserva della Repubblica” disponibile per un incarico di governo e quindi concorrente di chi aspira ad arrivare nello stesso posto attraverso un sistema elettorale più accidentato del solito. Ma pare comunque troppo leggere lo scontro di ieri in una chiave tutta politica – come pure qualcuno fa – rimettendo il presidente uscente della Commissione di Borsa Giuseppe Vegas nella sua precedente casella di parlamentare di Forza Italia. È una forzatura che non tiene conto dei pesi e della forza delle “tecnostrutture” Consob e Bankitalia, pubblicamente affiancate nei loro compiti, spesso in tensione dietro le quinte e adesso platealmente in contrasto. Dietro i colpi di fioretto ieri in commissione c’è uno scontro che si può sintetizzare brutalmente così: l’obiettivo principale assegnato dalla legge a Bankitalia è quello della “stabilità” del sistema creditizio. In nome di quella “stabilità”, che per decenni ha significato far comprare le banche in crisi da altre banche più solide, via Nazionale – è l’accusa – ha lesinato informazioni alla Consob, sacrificando il mandato di quest’ultima che riguarda invece la “trasparenza” dei mercati. La replica è che quella trasparenza non è mai stata messa in pericolo, ma che una Commissione di Borsa poco attiva e forse pavida preferisce ora passare per distratta invece che assumersi le responsabilità della sua inazione.
Anche per questi motivi alcuni dei protagonisti avrebbero preferito che il confronto di ieri si svolgesse a porte chiuse: sia per la delicatezza e l’alto grado di “tecnicismo” della discussione – si spiega – sia probabilmente per il meno confessabile pudore nell’esporre errori ed omissioni in pubblico e specialmente di fronte a una platea non esattamente imparziale come quella della politica. Così non è stato: la politica si è presa i suoi spazi e i tecnici per una volta non hanno deluso chi aspettava lo scontro.
Ora lo scambio di accuse tra Bankitalia e Consob sarà benzina per spingere la campagna elettorale semipermanente. E non solo per i 5 Stelle. Dal telefonino di Matteo Renzi già in mattinata, mentre il direttore generale della Consob Angelo Apponi snocciolava il suo j’accuse verso via Nazionale, sono partiti i primi sms che annunciavano gioiosi le difficoltà di Bankitalia e ricordavano – come se qualcuno potesse già averla dimenticata – la posizione del segretario Pd scopertosi all’improvviso contrario alla riconferma di Ignazio Visco.
Proprio grazie a quella riconferma che invece è stata acquisita peraltro l’opinione di Draghi al riguardo è stata di sicuro favorevole – Renzi conta di incassare un qualche dividendo elettorale.
Bankitalia riconfermata e subito sotto attacco, dunque. E una Consob dove l’era non gloriosa di Vegas scade il mese prossimo e il governo Gentiloni potrebbe scegliere di non scegliere: lasciar uscire il presidente scaduto e mantenere solo i tre commissari in carica fino a quando un nuovo esecutivo potrà insediare il nuovo presidente e l’altro commissario che manca.
Un quadro desolante che si potrà emendare se dallo scambio di accuse di queste ore verrà una spinta nuove regole che stringano e costringano le due autorità fondamentali per il risparmio a lavorare meglio assieme. Solo così gli stracci di Consob e Bankitalia potranno diventare un vestito – forse non perfetto, di sicuro migliore di quello sbrindellato che abbiamo visto ieri – in grado di proteggere un poco di più il risparmiatore.
La Repubblica.
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