di Massimo Franco
Come si temeva, i candidati alla mediazione si stanno moltiplicando: ognuno con il suo ruolo e grumo di interessi da difendere. E il modo in cui affrontano la legge finanziaria sta mostrando risvolti elettoralistici sempre più evidenti e difficili da nascondere. Finiscono per proiettare sui provvedimenti da prendere e sul voto per il Quirinale di gennaio ombre di involuzione dei rapporti politici: proprio il contrario di quello che le buone intenzioni volevano ottenere e le esigenze del Paese richiederebbero. Non esiste un «tavolo» condiviso per trattare tutti insieme, ma più «tavoli», spuntati per delegittimare gli altri. La preoccupazione è che aumentino le pressioni delle forze di maggioranza su Palazzo Chigi; e, quasi per inerzia, non la loro unità ma la conflittualità. D’altronde, l’avvitamento dei rapporti politici è in atto da tempo. A renderla scivolosa è l’incrocio tra azione di governo e scadenza del capo dello Stato. La prospettiva di arrivare all’inizio del 2022 con una coalizione slabbrata comporta un doppio rischio: che il governo si ritrovi accerchiato da partiti inclini a riprendersi i vecchi spazi di manovra; e che questo rimetta in forse quanto è stato fatto finora. È una deriva che una parte della maggioranza sembra non vedere. Si preferisce la parola d’ordine del «Draghi premier per sempre»: slogan che nasconde strategie agli antipodi, dalla voglia di prolungare la legislatura fino al termine del 2023, a quella inconfessabile di elezioni anticipate. In realtà, l’andamento della pandemia e le scadenze europee dicono che considerare la parentesi governativa quasi chiusa sarebbe azzardato; e che tentare di piegare l’agenda dell’esecutivo a quella dei partiti segnerebbe un rimbalzo nel passato difficile da giustificare. Il dilemma del futuro istituzionale di Draghi rimane intatto, nonostante gli applausi al governo. E va affrontato sapendo che comunque l’emergenza non è finita. I motivi che hanno spinto il capo dello Stato, Sergio Mattarella, a chiedere all’ex presidente della Bce nel febbraio del 2021 di formare un governo di unità nazionale, rimangono forti. Il tema è come evitare che vengano dimenticati. Sotto questo aspetto, peserà non solo l’elezione o meno di Draghi al Quirinale. Risulterà dirimente anche il modo in cui il prossimo presidente della Repubblica sarà scelto. Altrimenti, la prospettiva delle urne potrebbe prendere corpo davvero. E sarebbe necessario spiegare chi e perché le insegue, uscendo da una maggioranza ritenuta fino al giorno prima tanto atipica quanto inevitabile. La foto di gruppo dei leader scattate ieri alla Confesercenti tentano di accreditare un simulacro di unità. Renderla credibile richiederà un grande sforzo supplementare.