Cgil e Cisl sostengono la novità, ma chiedono attenzione al diritto di disconnessione e alle postazioni in cui si lavora da casa
di Maria Cristina Carratù
Avanti tutta, sia pure con tutte le garanzie e le tutele del caso. Dopo un primo periodo di smarrimento dovuto alla novità, il lavoro a distanza sperimentato nel periodo di lockdown in moltissime aziende toscane ( a Firenze si è balzati dal 17% del pre Covid, al 30%, dati Confindustria), sta suscitando molta più simpatia del previsto. Anche nel sindacato, che ha già fatto partire l’input: si tratti di telelavoro ( con una postazione stabile di lavoro a casa e orari fissi), o di smartworking ( con obiettivi di progetto e più autonomia del dipendente), il lavoro a distanza sta già entrando nei nuovi contratti, nazionali e territoriali. Guai, insomma, a dire che il sindacato frena: «I processi innovativi non vanno mai demonizzati, ma governati », avverte la segretaria regionale della Cgil Dalida Angelini. La vera scommessa, in altri termini, non è più ‘ se’, ma ‘ come’ ripensare l’impiego da remoto, « cioè con quali garanzie » . Ormai alle spalle la fase in cui si temeva che la parcellizzazione fisica del lavoro sgretolasse una comune coscienza rivendicativa, la sfida di oggi è chiara: « La crisi ci ha costretto a prendere anche il buono di quello che si è dovuto sperimentare per forza », dice Angelini, «e adesso bisogna farlo diventare un’opportunità per affrontare meglio il futuro » . A lavorare da casa, del resto, « sono stati in tanti all’interno dello stessosindacato, sperimentando in diretta cosa vuol dire evitare le file agli sportelli per documenti o consulenze » . I problemi, certo, non mancano. E per colmare il gap fra Toscana (e Italia) e Europa (5,5 e 5,1% di lavoro a distanza contro il 16,7% europeo), c’è un sacco di strada da fare, innanzitutto sul fronte dei diritti sindacali, che ovviamente devono seguire i lavoratori ovunque si trovino, anche (e a maggior ragione) dentro casa. L’importante, sottolinea Angelini, è che, col ricorso alle nuove tecnologie, «non si creino ulteriori disuguaglianze, soprattutto di genere » : è un fatto che tante donne si siano ritrovate, durante il lockdown, col lavoro da remoto sommato a quello di cura, in una sorta di « ritorno al passato deleterio per loro e per la società intera » . In generale, si tratterà di riconoscere nuove, specifiche, tutele al ‘telelavoratore’: dal diritto alla disconnessione fuori dalle fasce orarie stabilite dai contratti ( « in questo periodo spesso violato»), al diritto alla qualità e alla sicurezza del luogo di lavoro ( « una scomoda sedia di cucina, o un letto, non sono sedute ergonomiche»), e ad una ben attrezzata postazione casalinga (pc, accesso a piattaforme digitali avanzate, ecc.). Inoltre, di colmare gravi ritardi infrastrutturali, «basti pensare ai tanti territori ancora senza copertura web, o al clamoroso ritardo dell’aggiornamento digitale nella pubblica amministrazione ». Altro punto debole, avverte la segretaria della Cgil, « la formazione e la riqualificazione del personale, su cui le aziende dovranno avere il coraggio di investire: improvvisare, d’ora in poi, non sarà più accettabile » . E più che favorevole alla transizione è anche la Cisl: « Da qui a breve », dice il segretario regionale Riccardo Cerza, « gli occupati toscani che lavorano da casa potrebbero almeno raddoppiare». Una cosa è certa: « Il Covid ha dato un’accelerata a una regione in grave ritardo, anche rispetto al nord Italia » . E le aziende si sono accorte che, « anziché abbassare la produttività, il lavoro da remoto stimola la coscienza e il senso di responsabilità del dipendente». Purché, è ovvio, «non diventi sinonimo di lavoro selvaggio, senza tutele, e di nuove disparità fra lavoratori di serie A, tutelati, e lavoratori di serie B, lasciati a se stessi». Ad attendere il sindacato, nella nuova stagione di contrattazioni, l’impegno a scongiurare «sia un improvvisato fai-da-te a carico del dipendente, sia, con la scusa della distanza dall’azienda, il diffondersi di figure non contrattualizzate » . Ovvero un clamoroso revival del precariato.