Nardella ai suoi: “ Niente panico”. Il timore è la scissione a rate, dalla Leopolda in poi Dura la sindaca Barnini di Empoli: “ Così si prende a schiaffi il nostro popolo”
di Ernesto Ferrara Sono come quelle voci preregistrate che si attaccano a ogni telefonata: « Io resto nel Pd » . Lo dicono tutti, a tutti i livelli. Dal Consiglio regionale ai Consigli comunali, assessori e dirigenti, parlamentari e sindaci. Anche i più vicini a Renzi rispondono così. A Firenze Dario Nardella, Matteo Biffoni di Prato, Francesco Casini di Bagno a Ripoli. Il vecchio Capo se ne va, loro restano. Resta Eugenio Giani, il presidente del Consiglio regionale. Persino la senatrice Caterina Biti, una che renziana è dire poco, lo scrive su Facebook ieri di buon’ora dopo una notte a rimuginarci e si capisce che la sua è una scelta tormentata, faticosa, sofferta: «Dico solo che resto rispettando ma non capendo la scelta di altri». Tutti no, quanti no. Come un muro, inatteso e potente. Talvolta frutto addirittura di lacrime, come quelle che pare abbia versato qualche parlamentare. Di strappi, come quello che si narra Renzi abbia avuto sull’operazione con lo stesso Luca Lotti, deputato e amico, da sempre plenipotenziario.
Eppure, a sorpresa, dietro questa trincea che sembra così solida, dietro tutti questi rifiuti che il nuovo progetto politico di Matteo Renzi il giorno dopo si prende nella “sua” Toscana, scorci diversi si aprono, a ben vedere. Vaticini. Sensazioni. Auspici, per qualcuno. Timori per molti altri. Ci sono già delle crepe, a dirla tutta: «Non dico che rimarrò nel Pd. Certo lo farò nell’immediato. Devo gestire la fase della discussione sul nuovo progetto di Renzi, le eventuali fuoriuscite che ci saranno. Cercheremo di capire, quel che conta è che tutti restiamo uniti con Nardella» dice ad esempio il segretario fiorentino del Pd Massimiliano Piccioli, che a quanto pare oltre che da Renzi è attratto anche dalle sirene del nuovo partito di Calenda, con cui ha avuto dei contatti. Andrà giù tutto questo agli zingarettiani fiorentini? C’è un sindaco, Alessio Calamandrei di Impruneta, renziano doc, che dice: «Io per ora sto alla finestra». Pure l’eurodeputato Nicola Danti ci pensa. Altri sindaci e dirigenti sotto sotto il pensiero lo covano. La mossa renziana comunque rimette tutto in discussione: nessun dirigente per ora lo segue ora. Dopo la Leopolda sarà lo stesso? E se poi fossero gli zingarettiani a chiedere ai renziani che restano segnali di discontinuità? «Chi resta non è renziano», taglia corto la deputata franceschiniana Rosa Maria Di Giorgi. « Chi resta dovrà decidersi » , avverte l’orlandiano Valerio Fabiani. «Il fatto è che questa potrebbe essere la prima scissione della storia d’Italia a rate. Uno step dopo l’altro. Per ora Renzi se ne va e tutti i suoi restano nel Pd, ma tra qualche mese chi può dire che poi la “ cosa renziana”, se rientreranno Bersani e D’Alema, non li riattragga tutti, scompaginando giunte, maggioranze, accordi?» si domanda un autorevole esponente del Pd toscano. Tutti restano, ma per ora. Tra confusione e paure. Anche rabbia: « Chi prima da sinistra e oggi dal centro se ne va dal Pd prende a schiaffi quelle persone, o meglio quel popolo » attacca dura la sindaca di Empoli Brenda Barnini. Nardella teme l’effetto scissione a step: « Niente panico, non drammatizziamo. Quella di Matteo è un’operazione sul governo, noi restiamo concentrati su Firenze » è il messaggio che il sindaco trasmette ieri ai suoi assessori. Spiegando pure: « Capisco le ragioni di Matteo, rispetto la sua decisione e confido nel fatto che troveremo le giuste forme di collaborazioni per il futuro». Già, il futuro. Renzi ha invitato Nardella ad aprire la Leopolda: gli zingarettiani già storcono il naso. C’è la segretaria regionale dem Simona Bonafè che assicura di restare nel Pd ma coi suoi è molto chiara: « Dobbiamo ritrovare la missione riformista » . Lo sostengono anche tanti renziani che dicono di voler restare. Per ora. Vaticini funesti e timori politici percorrono il Pd toscano nel giorno dell’addio di Renzi. Non tutti hanno la stessa calma dell’assessore fiorentino Stefano Giorgetti, Pd amicissimo di Renzi, che già guarda dopo la scissione: «A me piacciono le unioni benedette». Ritiene possibile un matrimonio tra la nuova cosa renziana e il vecchio Pd, al momento giusto. Ma lui è davvero molto cattolico.