GENOVA Erano in bilico sul burrone e nemmeno lo sapevano. Erano convinti che andata bene una volta sarebbe andata bene sempre. E allora perché no? In fondo che male c’è a tirarsi su ogni tanto con quella roba? Sembra di vederli Adele, Sergio, Gabriele e l’altra ragazzina della compagnia. Con più coraggio per buttar giù pasticche potenzialmente letali piuttosto che per vivere le loro vite così com’erano.
Studenti senza troppi soldi in tasca, con famiglie che nessuno sa definire diversamente da «normali», con pagine Facebook da riempire di parole, con selfie per immortalare ogni momento. Ragazzi come milioni di altri, sotto il tratto di cielo che va da Genova a Chiavari, a Sestri Levante. Ciascuno con un dolore da portare a spasso tutti i santi giorni.
Adele, per esempio. C’è stato un giorno nella sua vita in cui tutto è diventato più buio. La sua mamma adorata è morta, l’anno scorso, vinta da un male incurabile. E lei non è stata più la ragazzina che era. Sul suo profilo Facebook aveva scritto: «Ridammi un giorno, solamente un giorno per stare con te. Capire che c’è di bello oltre a questo. E capire che senza di te, mamma, non è più lo stesso».
Soltanto Sergio era capace di ridarle il sorriso. «Ho scelto te perché odio le regole ma amo le eccezioni» è stato uno dei suoi tanti messaggi d’amore per lui. E ancora: «Persi come Alice, matti come il cappellaio». Oppure: «La mia felicità, ti amo amore». Con lui che ricambiava ogni volta, che mandava cuoricini rossi, sempre più di quanti ne avesse mandati lei.
Nelle fotografie postate a decine sorridono felici, si baciano, si abbracciano. Immagini lontanissime da quelle che evocano i vecchi messaggi di Adele.
A gennaio dell’anno scorso scrisse: «Il mio futuro è ripido e tetro. Io sempre in bilico, spirito inquieto».
Adesso per tutti quanti è tempo di ricostruire il passato, quantomeno quello recente. Si indagherà, si capirà chi ha fatto cosa e chi ha trascinato chi nelle sabbie mobili della droga.
Per ora tutto quello che si sa è che i due maggiorenni arrestati, Sergio e Gabriele, non avevano mai avuto guai con la giustizia prima d’ora, che lavoravano ciascuno con i propri genitori, che si erano conosciuti a scuola (un istituto tecnico) e che da allora non si erano mai persi di vista.
Sergio ha sempre vissuto in un paesino dell’entroterra, vicino a Genova. La sua famiglia ha avuto un negozio di frutta e verdura per decenni finché il padre non ha deciso di cambiare attività e lavorare per un’azienda di trasporto, coinvolgendo ogni tanto anche lui, Sergio.
Anche il padre di Gabriele, gestore di un piccolo albergo a Sestri Levante, d’estate chiedeva una mano al figlio (che vive a Genova con la madre ed è uno studente). Strano tipo, Gabriele. Tormentato, a giudicare dai commenti sulla sua pagina Facebook. L’ultimo è del 26 luglio. «Se potessi far capire alla gente di non escludere nessuno… perché quel qualcuno non si senta insignificante e perdente».
Pochi giorni prima aveva scritto: «Siete tutti solo bravi a sfottere chi sta male, nessuno prova a mettersi nei panni della persona che ha davanti. Poi parlate di ampliare la coscienza e di essere svegli…».
I genitori di Sergio e Gabriele stanno cercando di ricostruire il possibile per parlare dei loro figli agli avvocati che li difenderanno. Si sono accorti di non conoscerli.
- Domenica 30 Luglio, 2017
- CORRIERE DELLA SERA