Silenzio sulle alleanze locali con LeU. Partito diviso: contro Parrini resistenza «gandhiana»
Paolo Ceccarelli
Il centrosinistra agita il Pd. Non è una battuta, ma quello che sta succedendo in Toscana dopo che il governatore Enrico Rossi ha chiesto a Liberi e Uguali di aprire ad alleanze locali con i Democratici, a cominciare dalle regionali nel Lazio. Una mossa che Rossi ha fatto prendendo a modello la Toscana, dove Pd e un pezzo di sinistra governano insieme la Regione e diversi Comuni, e che lo ha esposto agli attacchi di altri esponenti di Liberi e Uguali, contrari ad alleanze anche locali con il partito di Renzi.
L’apertura del governatore, fatta con un occhio alle elezioni comunali che si svolgeranno dopo le Politiche, viene però accolta nel silenzio dai vertici del Pd regionale: nessuna uscita pubblica per sostenere l’idea di un «modello Toscana» per il centrosinistra. E questo silenzio fa arrabbiare diversi Democratici, che invece offrono più di una sponda al presidente della Regione. «Bene Rossi, bisogna iniziare a costruire un centrosinistra vero con le persone che dentro a LeU si muovono in una logica di governo e di responsabilità», dice la consigliera regionale renziana della Piana Monia Monni, una dei «frondisti» del Pd toscano che da mesi si scontrano con il segretario Dario Parrini sulla conduzione del partito, a cominciare proprio dal tema delle alleanze. È vero che Parrini ha poi aperto ad un’alleanza con la sinistra anche sul piano nazionale, è vero che alla conferenza programmatica del Pd regionale a Pisa è stato siglato una sorta di patto con Rossi, ma «non bastano accordi di fine legislatura né sommatorie di sigle — dice Monni — bisogna rifondare il pensiero culturale del centrosinistra e dobbiamo ricostruire un rapporto con i sindacati e il mondo dell’associazionismo. Se non facciamo questo, a partire dalla Toscana, siamo degli irresponsabili». Non va oltre Monni, mordendosi la lingua. Perché i frondisti, tra cui ci sono anche Stefano Bruzzesi (ex responsabile Enti locali del Pd toscano, silurato da Parrini) e il consigliere regionale di Livorno Francesco Gazzetti, hanno deciso di adottare un basso profilo per non danneggiare il partito in campagna elettorale. «Ora è il momento di dare una mano e basta, niente polemiche. Per quanto riguarda tutto il resto… ci toccherà fare resistenza passiva, come Gandhi», dice Bruzzesi. Cioè resistenza passiva alle scelte secondo loro sbagliate dei vertici regionali, ultima il silenzio con cui è stato accolto l’appello di Rossi. Non sono i soli, a dire la verità. «Io sono d’accordissimo con il governatore, la Toscana è un modello di centrosinistra da esportare. Però sono preoccupata: non basta fare una conferenza programmatica, bisogna lavorare ad una alleanza vera e duratura, aperta alla società, altrimenti rischiamo alle Comunali e anche alle Regionali del 2020», dice Alessandra Nardini, consigliera regionale pisana, orlandiana, che invita i vertici del partito a «fare un giro a Cascina (dove governa la Lega Nord, ndr ) per avere un’idea di cosa rischiamo… Basta fare campagna contro la sinistra e basta con la sinistra che fa campagna contro il Pd. Abbiamo perso Carrara così. Vogliamo continuare?», si chiede polemicamente Nardini.
Applaude a Rossi il sindaco di Siena Bruno Valentini, la cui ricandidatura è ancora in bilico a pochi mesi dalle elezioni comunali. «Apprezzo il coraggio di Enrico, del resto abbiamo una cultura politica comune. Sull’azione di governo non vedo differenze tra Pd e LeU — dice Valentini — Gli scontri a livello nazionale sono dovuti al posizionamento esasperato dalla campagna elettorale, ma il tempo cura tante cose». Rispetto alla freddezza del Pd regionale verso la mossa di Rossi, il sindaco di Siena dà questa interpretazione: «L’unica spiegazione logica è che il nostro entusiasmo per le sue parole avrebbe potuto imbarazzare Enrico… Del resto la politica è purtroppo governata da quella che chiamano “sindrome di Siena”: è più importante far perdere l’avversario che vincere. Un po’ di cautela serve».
Ma sono proprio le ricadute dello scontro frontale tra Pd e LeU sulle città toscane vicine al voto — oltre Siena ci sono anche Pisa, Massa, Pietrasanta, Campi Bisenzio, per citare le più grandi — a preoccupare il governatore. E il silenzio dei Democratici dopo la sua uscita pubblica a favore di un’alleanza tra Pd e lista di Grasso non ha fatto altro che rafforzare i cattivi presagi. Quelli agitati qualche giorno fa anche da un renziano della prima ora (da qualche anno fuori dalla mischia politica) come Massimo Mattei, ex assessore a Firenze, che ha scritto su Facebook: «Un conto è perdere a Udine, un conto sarebbe perdere la Toscana. O Pisa. O Siena. Oh, comunque magari mi sbaglio. Ed avete ragione voi a tirarvi schiaffi tutto il giorno».