Non interrompere il dialogo senza nascondere le divergenze è la regola diplomatica da applicare con i responsabili politici scomodi ma indispensabili. Così si salva la coscienza e la faccia, oltre agli interessi. Quello di Recep Tayyip Erdogan è un caso da manuale. A conclusione della sua visita in Vaticano, da parte del Papa si è fatto sapere che con l’ospite si è parlato di Gerusalemme. E sull’argomento Francesco ed Erdogan sono d’accordo nel deplorare il riconoscimento da parte degli Stati Uniti della città tre volte santa come capitale di Israele. pagina 29 ANSALDO e LIVINI, pagine 6 e 7 Non interrompere il dialogo senza nascondere le divergenze è la regola diplomatica da applicare con i responsabili politici scomodi ma indispensabili. Così si salva la coscienza e la faccia, oltre agli interessi. Quello di Recep Tayyip Erdogan è un caso da manuale. A conclusione della sua visita in Vaticano, da parte del Papa si è fatto sapere che con l’ospite si è parlato di Gerusalemme. E sull’argomento Francesco ed Erdogan sono d’accordo nel deplorare il riconoscimento da parte degli Stati Uniti della città tre volte santa come capitale di Israele. Separatamente, ognuno a casa propria, si era già pronunciato sull’argomento.
Mai ieri si è parlato anche della situazione in Medio Oriente e del problema dei diritti umani. Ed è evidente che la questione è stata sollevata dall’ospitante. Il Papa, che a giudicare dalle immagini si è risparmiato nell’elargire sorrisi ai visitatori, ha fatto sapere di avere evocato le divergenze con Erdogan. Il leader turco tiene circa cinquantamila persone in prigione e ha destituito dai loro incarichi almeno centoquarantamila funzionari o ufficiali delle Forze armate per supposti legami con la confraternita islamista di Fetullah Gülen, accusata del mancato colpo di Stato del luglio 2016, o di avere contatti con organizzazioni sovversive curde. Il Papa non poteva ignorare durante l’incontro la repressione di massa tutt’altro che conclusa. Né ignorare le operazioni militari promosse dai turchi in Siria contro le milizie curde, in cui il governo di Ankara vede la minaccia di una futura indipendenza curda che amputerebbe l’integrità nazionale.
È una non tanto nuova guerra nella guerra, insomma papa Francesco ha rispettato la regola: ha accettato il dialogo e non ha ignorato le divergenze. Non poteva che dare l’esempio, sia pure con discrezione. In occasione dell’anniversario del massacro degli armeni compiuto dai turchi un secolo fa, Francesco non aveva esitato a indicarlo come il preludio al genocidio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Ankara, che nega con ostinazione quell’interpretazione dell’eccidio, non aveva gradito le parole del Papa. Ma i tempi diplomatici possono essere molto veloci. E ieri Erdogan non ha certamente evocato quel fatto. Altri erano i problemi sul tappeto.
Isolato sul terreno diplomatico il presidente turco deve riannodare i legami con i Paesi dell’Unione europea. Come inevitabile partner sul problema dell’emigrazione e della crisi regionale a ridosso del Vecchio continente pensa di avere l’autorità per poter riproporre, sia pure con scarsissime probabilità di successo, la questione dell’adesione turca all’Ue.
Già durante la visita del 5 gennaio a Parigi, Emmanuel Macron gli aveva tolto ogni speranza proponendo un’associazione esterna della Turchia, che equivarrebbe ad assegnarle un posto sia pur privilegiato ma fuori dalla porta. In Italia non può che avere raccolto analoghe reazioni. Forse più sfumate. Al Quirinale, dove ha pranzato con Erdogan, il presidente Mattarella ha fatto sapere che nel corso del dialogo «franco e rispettoso» sono state riaffermate le posizioni di ognuno. Divergenti su molti punti, in particolare sui diritti umani. In sostanza si è ripetuto quel che era avvenuto in Vaticano.
Per i Paesi europei oltre ad essere membro della Nato, quindi almeno formalmente un vecchio alleato, la Turchia frena l’ondata migratoria destinata all’Europa, e per questo è ricompensata. Inoltre occupa nell’interminabile conflitto mediorientale una posizione strategica di primo piano.
Sul piano formale questa è la situazione. La realtà è diversa. I suoi rapporti con il tradizionale alleato americano sono sempre più cattivi. In particolare da quando i turchi attaccano in Siria le milizie curde che hanno funzionato come fanteria nella coalizione guidata dagli Stati Uniti nella guerra contro l’Isis. Mentre le relazioni con la Nato continuano a peggiorare. L’alleanza alternativa con Vladimir Putin, grazie alla quale la Turchia si è potuta inserire nel conflitto siriano, sta rivelando i suoi limiti. Da qui il tentativo di riavvicinamento all’Europa. La Germania, che per la massiccia presenza di immigrati turchi, per la storia spesso comune e per i cospicui interessi economici ha sempre avuto rapporti particolari con Ankara ha frenato bruscamente lo slancio. Non ha gradito l’arresto di suoi giornalisti e l’invadenza di Erdogan che esigeva di tenere comizi per gli immigrati turchi nelle città tedesche in occasione del referendum sui suoi poteri presidenziali. Angela Merkel gli ha chiuso la porta in faccia. Prima Parigi e adesso Roma sono le due capitali attraverso le quali Erdogan tenta di riagganciare l’Europa. Per incontrare Paolo Gentiloni ha portato con sé un folto gruppo di ministri.
Nonostante i suoi impegni bellici e le difficoltà diplomatiche con i partner tradizionali la Turchia conosce una forte crescita economica ( il 7 per cento) e quindi le numerose imprese italiane nel Paese sono interessate a intensificare le loro attività. Sulle quali non pesano le divergenze politiche.
Merkel gli ha chiuso la porta in faccia Prima Parigi e ora Roma sono le capitali attraverso cui il presidente turco tenta di riagganciare l’Europa.
Mai ieri si è parlato anche della situazione in Medio Oriente e del problema dei diritti umani. Ed è evidente che la questione è stata sollevata dall’ospitante. Il Papa, che a giudicare dalle immagini si è risparmiato nell’elargire sorrisi ai visitatori, ha fatto sapere di avere evocato le divergenze con Erdogan. Il leader turco tiene circa cinquantamila persone in prigione e ha destituito dai loro incarichi almeno centoquarantamila funzionari o ufficiali delle Forze armate per supposti legami con la confraternita islamista di Fetullah Gülen, accusata del mancato colpo di Stato del luglio 2016, o di avere contatti con organizzazioni sovversive curde. Il Papa non poteva ignorare durante l’incontro la repressione di massa tutt’altro che conclusa. Né ignorare le operazioni militari promosse dai turchi in Siria contro le milizie curde, in cui il governo di Ankara vede la minaccia di una futura indipendenza curda che amputerebbe l’integrità nazionale.
È una non tanto nuova guerra nella guerra, insomma papa Francesco ha rispettato la regola: ha accettato il dialogo e non ha ignorato le divergenze. Non poteva che dare l’esempio, sia pure con discrezione. In occasione dell’anniversario del massacro degli armeni compiuto dai turchi un secolo fa, Francesco non aveva esitato a indicarlo come il preludio al genocidio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Ankara, che nega con ostinazione quell’interpretazione dell’eccidio, non aveva gradito le parole del Papa. Ma i tempi diplomatici possono essere molto veloci. E ieri Erdogan non ha certamente evocato quel fatto. Altri erano i problemi sul tappeto.
Isolato sul terreno diplomatico il presidente turco deve riannodare i legami con i Paesi dell’Unione europea. Come inevitabile partner sul problema dell’emigrazione e della crisi regionale a ridosso del Vecchio continente pensa di avere l’autorità per poter riproporre, sia pure con scarsissime probabilità di successo, la questione dell’adesione turca all’Ue.
Già durante la visita del 5 gennaio a Parigi, Emmanuel Macron gli aveva tolto ogni speranza proponendo un’associazione esterna della Turchia, che equivarrebbe ad assegnarle un posto sia pur privilegiato ma fuori dalla porta. In Italia non può che avere raccolto analoghe reazioni. Forse più sfumate. Al Quirinale, dove ha pranzato con Erdogan, il presidente Mattarella ha fatto sapere che nel corso del dialogo «franco e rispettoso» sono state riaffermate le posizioni di ognuno. Divergenti su molti punti, in particolare sui diritti umani. In sostanza si è ripetuto quel che era avvenuto in Vaticano.
Per i Paesi europei oltre ad essere membro della Nato, quindi almeno formalmente un vecchio alleato, la Turchia frena l’ondata migratoria destinata all’Europa, e per questo è ricompensata. Inoltre occupa nell’interminabile conflitto mediorientale una posizione strategica di primo piano.
Sul piano formale questa è la situazione. La realtà è diversa. I suoi rapporti con il tradizionale alleato americano sono sempre più cattivi. In particolare da quando i turchi attaccano in Siria le milizie curde che hanno funzionato come fanteria nella coalizione guidata dagli Stati Uniti nella guerra contro l’Isis. Mentre le relazioni con la Nato continuano a peggiorare. L’alleanza alternativa con Vladimir Putin, grazie alla quale la Turchia si è potuta inserire nel conflitto siriano, sta rivelando i suoi limiti. Da qui il tentativo di riavvicinamento all’Europa. La Germania, che per la massiccia presenza di immigrati turchi, per la storia spesso comune e per i cospicui interessi economici ha sempre avuto rapporti particolari con Ankara ha frenato bruscamente lo slancio. Non ha gradito l’arresto di suoi giornalisti e l’invadenza di Erdogan che esigeva di tenere comizi per gli immigrati turchi nelle città tedesche in occasione del referendum sui suoi poteri presidenziali. Angela Merkel gli ha chiuso la porta in faccia. Prima Parigi e adesso Roma sono le due capitali attraverso le quali Erdogan tenta di riagganciare l’Europa. Per incontrare Paolo Gentiloni ha portato con sé un folto gruppo di ministri.
Nonostante i suoi impegni bellici e le difficoltà diplomatiche con i partner tradizionali la Turchia conosce una forte crescita economica ( il 7 per cento) e quindi le numerose imprese italiane nel Paese sono interessate a intensificare le loro attività. Sulle quali non pesano le divergenze politiche.
Merkel gli ha chiuso la porta in faccia Prima Parigi e ora Roma sono le capitali attraverso cui il presidente turco tenta di riagganciare l’Europa.
La Repubblica – Bernardo Valli – 06/02/2018 pg. 1,29 ed. Nazionale.