Fondazione Mps, il conto del disastro: bruciato un patrimonio di 7 miliardi

IL BILANCIO DELL’ENTE CHE FU PADRONE DELLA BANCA PERMETTE DI CALCOLARE LA PERDITA SUBITA PER EFFETTO DELL’ACQUISIZIONE DI ANTONVENETA, L’ORIGINE DI TUTTI I GUAI. LA RICOSTRUZIONE DELL’EX DIRETTORE FINANZIARIO, LICENZIATO DOPO CHE AVEVA LANCIATO L’ALLARME SUI RISCHI

A Siena l’anniversario non l’ha celebrato nessuno. Dieci anni fa, proprio in questi primi mesi estivi, la Fondazione che all’epoca controllava il Monte Paschi finì di liquidare gli investimenti finanziari che aveva accumulato nel tempo e che, alla fine del 2007, avevano ormai superato la ragguardevole cifra di 3,2 miliardi di euro. Nel maggio del 2008, la banca senese aveva infatti rilevato definitivamente dagli spagnoli del Santander la Banca Antonveneta, spendendo ben 10 miliardi di euro, e la Fondazione – che del Monte era il principale azionista con il 57,6 per cento – era stata chiamata a liberarsi di quasi tutti gli investimenti presenti nel proprio portafoglio diversi dalle azioni Mps, al fine di reperire i capitali necessari per sostenere l’enorme sforzo finanziario.

All’epoca dei fatti molti avevano vissuto con orgoglio quasi sovranista la mossa dell’allora presidente del Monte, Giuseppe Mussari, che aveva riportato in mani italiane l’istituto veneto. Nel tempo, però, i fatti diranno che il prezzo pagato era eccessivo e che a livello patrimoniale la banca senese non si riprenderà mai più dal maxi esborso, iniziando a scendere quella china che, a fine 2016, ne ha reso necessario il salvataggio da parte dello Stato, costato 6 miliardi di euro.

Oggi il Tesoro possiede il 68,2 per cento del Monte, mentre alla Fondazione è rimasta una quota irrisoria della banca che un tempo fu sua e che, grazie ai dividendi, le permetteva di inondare di donazioni l’intera provincia: meno di 38 mila azioni, stando all’ultimo bilancio, pari allo 0,003 per cento del capitale.

A dieci anni di distanza, la vicenda delle risorse bruciate in Antonveneta rappresenta dunque l’occasione per un esercizio del genere letterario conosciuto come “la storia fatta con i se”. Che cosa sarebbe accaduto alla Fondazione, se Mussari e il vertice del Monte non avessero comprato la banca padovana? La domanda se l’è posta una persona che nella vicenda ha recitato una parte non irrilevante. Si chiama Nicola Scocca e, a quei tempi, era il direttore finanziario della Fondazione. Laureato in economia alla University of California, una notevole esperienza in campo finanziario, aveva avuto l’incarico nel 1999, dopo che il collocamento in Borsa di una parte della azioni Mps aveva portato nelle casse della Fondazione la bellezza di 1,6 miliardi di euro.

Ebbene, all’inizio del 2008 gli asset dell’ente diversi dai titoli del Monte avevano superato ormai il valore di 3,2 miliardi, diversificati in fondi e Etf affidati a gestori internaizonali per 2,7 miliardi, risorse gestite internamente per 402 milioni, hedge funds per 80 milioni e valori immobiliari per 28 milioni. Quando gli fu detto che la Fondazione aveva deciso di sottoscrivere l’aumento di capitale della banca necessario per acquistare l’Antonveneta e che per trovare i quattrini sarebbe stato necessario liquidare quel tesoretto, Scocca mise tutti in allarme. Concentrare pressoché l’intero patrimonio in titoli della banca, fece presente in modo formale, avrebbe comportato rischi eccessivi. La Fondazione, guidata da Gabriello Mancini, decise però di tirare dritto e di procedere alla dimissione di gran parte degli investimenti diversificati, che alla fine dell’estate si erano ridotti ormai a 700 milioni di euro. Il 31 agosto, peraltro, l’ente decise di ristrutturare la direzione finanza, lasciando a casa Socca.

Nel caso senese, però, la “storia fatta con i se” finisce per essere molto istruttiva. Scocca ha infatti ripreso l’elenco di tutti gli investimenti dell’epoca della Fondazione. Per ognuno dei comparti del portafoglio ha calcolato – attraverso gli indici di riferimento – il rendimento che hanno avuto nel periodo dal 2008 al 2017. E ha scoperto che quel tesoretto di 3,2 miliardi di euro oggi varebbe più di 4,3 miliardi.

I titoli non immobilizzati, però, non rappresenterebbero l’intero patrimonio della Fondazione: se non avesse comprato Antonveneta, il Monte sarebbe ancora in piedi. All’epoca il resto del patrimonio, di cui la quota nella banca era la parte preponderante, era iscritto nel bilancio della Fondazione per 3,1 miliardi. Ipotizzando che quel valore fosse rimasto identico in tutto questo periodo, l’attivo patrimoniale della Fondazione varrebbe dunque 7,4 miliardi di euro, ben quattrodici volte i 515 milioni che, mestamente, si ritrova oggi in cassa.

 

DIECI ANNI CON RIMPIANTI

Nel grafico viene confrontato l’attivo patrimoniale della Fondazione Mps dopo l’acquisizione di Antonveneta, avvenuta nel 2008, con il valore che avrebbe oggi senza l’operazione. Questo dato è ipotizzato in base all’andamento degli indici di riferimento dei titoli venduti nel 2008 dalla Fondazione, che oggi varrebbero 4,3 miliardi, mantenendo fisso il valore delle azioni Mps immobilizzato all’epoca in bilancio (3,1 miliardi). Nella foto a sinistra, Palazzo Sansedoni a Siena, sede dell’ente

Luca Piana
16 luglio 2018