Firenze: il resort di Costa San Giorgio

«Sproporzione di forzetra pubblico e privato»

E.S.

 

«Governare significa fare scelte nell’interesse generale. Alzare le spalle dicendo “tanto riguarda i privati” è lavarsene le mani. Ha ragione padre Bernardo: in Costa San Giorgio è avvenuto qualcosa di molto grave».

Antonio Fiorentino, da architetto d’opposizione, esponente di Perunaltracittà, sposa la posizione dell’abate di San Miniato, della sinistra e delle associazioni dei residenti. Ma il sindaco risponde che non è stata una sua scelta: lo Stato ha venduto l’immobile.

«È vero, lo Stato ha deciso di smobilitare conventi, ex caserme, il patrimonio sostanziale, quasi intoccabile, della comunità. Una pessima scelta che va avanti da anni, usando la Cassa Depositi e Prestiti per espropriare beni comuni, per far cassa, anche se questo gran successo economico non si vede. Ma viene demandata agli amministratori locali la gestione di questa svendita. Amministratori che però hanno abdicato alla propria funzione di governo del territorio. L’ultima parola su cosa si può fare è del Comune: può stabilire le destinazioni d’uso. E invece in un documento del 2015 si legge che “la complessità del manufatto e la sua particolare ubicazione non consentono di operare scelte previsionali”. Tradotto: è troppo difficile, non sappiamo cosa farci. Mi sembra molto grave».

Quindi non è contro lo Stato centrale che lei punta il dito?

«C’è corresponsabilità. Perché in Costa San Giorgio l’86% della superficie dev’essere a uso turistico e non il 30 o il 20? In cambio di cosa? Un teatro all’aperto 8 giorni l’anno? Un auditorium 12 giorni l’anno? È questo che il progetto prevede».

Senza un potenziale turistico, nessuno investirebbe.

«Ma se le amministrazioni facessero fronte comune contro le esigenze dell’immobiliarismo privato, qualcosa si potrebbe fare. Un tempo si parlava di trasferire lì il Conservatorio. E Palazzo della Gherdardesca in Borgo Pinti? C’erano proposte dall’Università, invece un altro albergo. Il coraggio di dire no ai privati dov’è finito? Vedrete il complesso di San Gallo, sarà la prossima Costa San Giorgio».

C’è una sproporzione di forze economiche tra privato e pubblico.

«Senza dubbio. La pubblica amministrazione si è fatta trovare a brache calate. Mancano le risorse. Ma anche il coraggio. Invece di frantumare il centro storico in tante occasioni di investimento separate da proporre a multinazionali straniere, avrebbero dovuto predisporre un piano unitario di sviluppo».

Il «vero scandalo», dice il sindaco, è che da 150 anni la caserma di Costa San Giorgio è interdetta ai cittadini.

«Ha ragione. Quindi vogliamo continuare così? Passando dai militari alle multinazionali che faranno una bella segregazione selezionata per censo?».

Esempi positivi e in controtendenza non ne vede?

«Le Murate con le case popolari in centro sono un esempio positivo. Ma è l’unico».

Della variante urbanistica in approvazione cosa pensa?

«Che sarebbe l’occasione di tornarci sopra in maniera più saggia, con un piano urbanistico particolareggiato e partecipato dai cittadini. Ridiscutendo tutte le destinazioni d’uso: 16 mila metri quadri, ovvero oltre un ettaro e mezzo, sui 30 mila totali destinati ad albergo, non vi pare sia oltre l’accettabile?».

Lo spirito della Firenze sociale di La Pira di cui parla Bernardo è definitivamente e urbanisticamente morto? O c’è ancora margine?

«Diciamo che è parecchio compromesso. I buoi sono scappati dalla stalla. Lo stillicidio continua e non vedo cambiamenti di passo. La conseguenza è la fuga dei residenti, che non possono vivere tra quinte teatrali. A Firenze l’urbanicidio è già stato commesso».

 

«Deve prevalere il cosa si può fare, non il come»

Edoardo Semmola

 

«C’è un modo per impedire nuovi casi Costa San Giorgio: se fossi a Palazzo Vecchio inizierei un serio censimento dei beni pubblici per predisporre un accurato sistema di vincoli, sia sul piano delle funzioni degli immobili che delle modalità di trasformazione».

Professor Marco Massa, da ex direttore del dipartimento di Urbanistica di Architettura, come giudica il caso sollevato da padre Bernardo?

«Il processo di privatizzazione dei beni pubblici è disastroso. Il caso Costa San Giorgio si inserisce in un filone, come dice padre Bernardo, contrario allo spirito della città. Che si impoverisce e si trasforma in un sistema di ghetti chiusi, da quelli di lusso ai più poveri. Lo spazio sociale è dato dai servizi, in genere di proprietà pubblica, che il Comune dovrebbe fare lo sforzo di garantire. Senza però compromettere gli interessi privati. Le destinazioni funzionali sono state inventate per questo: per il controllo pubblico dei progetti privati».

I beni pubblici perduti, da Monte Oliveto al convitto della Calza, cosa ci insegnano?

«Che l’interesse privato, il profitto, non è intrinsecamente in contrasto con le esigenze collettive, ma anche accettando il processo di privatizzazioni, il Comune ha gli strumenti per mitigare l’impatto di questa trasformazione della città. Palazzo Vecchio però sembra preferire il controllo sulle modalità con cui il progetto si realizza, invece che sulla destinazione d’uso».

Il sindaco dice che quando lo Stato ha venduto la caserma di Costa San Giorgio nessuno si è indignato.

«Quando negli anni 90 l’Europa chiese più concorrenza e il ritiro dello Stato assistenziale, iniziarono le privatizzazioni, ma non appena si trasformarono nella svendita del patrimonio immobiliare pubblico, le opinioni critiche dal mondo intellettuale si sono alzate eccome. Salvatore Settis ne parla da decenni di quella parte del patrimonio che deve essere inalienabile perché identitario».

Sono stati fatti anche investimenti però. Nardella punta molto su Sant’Orsola.

«È vero, quello alle Murate è un intervento di livello europeo. Anche quello alle Oblate è un altro bell’intervento di recupero. Ora c’è San Salvi, esempio clamoroso perché si presta a diventare un piccolo quartiere giardino, sperimentale, nuovo. Una struttura di qualità rara vicino al centro. Per Sant’Orsola il discorso è diverso: c’è stato un procedimento interessante di partecipazione, ma le idee sono rimaste sulla carta, è mancata la capacità di messa a terra».

Cosa pensa della variante urbanistica ora in esame?

«Convalida la decisione del privato di costruire l’albergo,né offre orizzonti economici diversi da quello turistico classico tradizionale. La novità è che ora si è virato più sul lusso invece che sull’Airbnb. Non è per forza un male, purché il lusso sia calato dentro un sistema in cui possano convivere a parità di diritti di accesso alle risorse le altre classi sociali. La città è bella perché ha strati diversi».

Ecco lo spirito della Firenze di La Pira.

«L’errore di fondo è lasciar andare una privatizzazione sfrenata senza considerare il contesto. Errori simili sono stati fatti con le privatizzazioni delle aziende dalla telefonia all’energia. È sbagliato trattare tutto in modo uniforme pensando solo all’elemento finanziario e non al fatto che parliamo di un contesto complesso».

C’è luce in fondo al tunnel?

«Sta nei meccanismi di partecipazione in cui Palazzo Vecchio dovrebbe inserire anche la parte migliore della società del territorio: gli intellettuali che da tempo si sono distaccati perché ormai delusi. Come fu fatto per le Oblate, o a Barcellona per le “fabbriche della creatività».

 

 

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