Ce la siamo spassata con questa storia di Luis Suárez, no? Un carnevalesco profluvio di intercettazioni di esaminatori incaricati di valutare la padronanza della lingua del centravanti, affinché ottenesse il passaporto utile a trasferirsi alla Juve: una batteria completa dei vizi italiani, i toni da tifosi, da topini spaventati dall’ombra, da truffatori del retrobottega, e la sintassi talvolta all’altezza dell’esaminato. Ci abbiamo riso parecchio, ma non è finita. Perché, ai margini della cronaca della sit-com, qualcuno (per esempio il sommo avvocato Cataldo Intrieri su Linkiesta) comincia a chiedersi come diavolo funzionino le cose. Cioè, non era intervenuta la logorante e minuziosa riforma del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, a disciplinare lo spaccio delle intercettazioni? Non si era finalmente posto rimedio, con scienza e polso, allo sputtanamento globale?
Intrieri fa notare che con la riforma, in questa fase delle indagini, le carte sono sotto la stretta custodia del magistrato. E, nel caso, il custode supremo è il procuratore Raffaele Cantone, il quale – dopo quattro giorni di festival della cimice, sbobinata al pubblico in tempo reale – finalmente ha l’illuminazione: qualcosa non torna. E stiamo parlando di uno degli inquirenti maggiormente investiti di stima universale, sin dai tempi palingenetici dell’Anticorruzione. Si dice indignato (benvenuto!) e promette di mettersi sulle tracce dei propalatori, oltre a domandarsi che diavolo ci facciano tanti giornalisti accampati sotto i suoi uffici (mistero). Io a questo punto a Suárez il passaporto glielo darei ad honorem.